Cooperazione e alleanza terapeutica nella terapia di coppia: i risvolti etici
di Maurizio Coletti
È noto che la terapia di coppia pone al terapista problemi inediti di diverso genere.
Difficile che i due partner chiedano aiuto “all’unisono”; più frequente, invece, che ciascuno denunci il problema facendosi forte del proprio punto di vista e portando l’inevitabile conflitto, all’interno della coppia, proprio a partire dalla richiesta di “avere ragione” o, di “avere un po’ più ragione dell’altro/a”.
Il terapista, il consulente od il mediatore si trova subito investito da una richiesta di schierarsi con una parte, di stabilire chi ha torto, chi è la vittima e chi il/la carnefice.
Che si tratti di incomprensioni legate a problemi sessuali, ad aspetti relativi all’area genitoriale, alla vicinanza (eccessiva o scarsa) delle famiglie di origine della coppia, a tradimenti, ad aspetti comportamentali qualche volta violenti, ad incomprensioni antiche o recenti, a problemi di confini tra la coppia ed i sistemi circostanti, a questioni economiche, a problemi con le amicizie, il cuore della richiesta di una terapia di coppia è sempre questo: si vorrebbe che si stabilisse chi ha ragione.
La formazione alla psicoterapia sistemica declina fin dalle sue prime fasi il mantra secondo il quale è indispensabile “evitare il contesto giudiziario”, evitare di schierarsi, evitare di essere – appunto – giudici; ed evitare di essere intrappolati da segreti che vincolerebbero il terapista ad uno dei partner “a danno” dell’altro.
Detto così, è senza dubbio semplice e condivisibile. Messo in pratica, questo principio risulta di complicata e drammatica difficoltà.
La stessa natura del conflitto tra i partner impedisce loro di chiedere aiuto evitando di chiedere al terapista ed alla terapia di schierarsi.
L’alleanza terapeutica, la paziente e definita costruzione di un rapporto solido e bilanciato con ambedue i membri della coppia è un fattore che è considerato terapeutico in sé.
Una lunga ed antica discussione attraversa lo studio sulle psicoterapie. Saul Rosenzweig nel 1936 coniò il termine “verdetto del dodo” (dodo bird verdict), per riferirsi alla teoria secondo la quale tutti i tipi di psicoterapia sono ugualmente efficaci, essendo l’efficacia del trattamento dovuta non agli specifici metodi usati dallo psicoterapeuta, ma a qualcosa di molto generale che tutte le psicoterapie hanno in comune: il conforto derivato dall’avere qualcuno con cui parlare dei propri problemi. Da allora, la discussione tra fattori specifici ed aspecifici che differenziano le psicoterapie ha attraversato fasi differenti. Ed è stata ed è importante anche nel campo della psicoterapia sistemica e relazionale, nel quale sono sorti e si sono affermati differenti modelli teorici e clinici; inevitabilmente, ognuno tende a privilegiare le proprie caratteristiche ed i vantaggi che derivano dall’assunzione del modello. E, tuttavia (assieme al fattore comune di considerare teoricamente e clinicamente l’importanza del sistema – membri, individui e relazioni che legano), la questione del tipo di rapporto che deve intercorrere nel sistema terapeutico tra i partecipanti tutti (pazienti e terapisti) è di fondamentale importanza ed è fortemente trasversale a tutti i modelli.
Nella terapia della coppia, il raggiungimento di un clima di cooperazione è estremamente rilevante, decisivo per avviare il paziente lavoro di analisi della relazione, per restituire ai partner le adeguate letture delle loro storie e del funzionamento o disfunzionamento del loro rapporto, per avviarsi sulla strada delle prescrizioni.
Non solo, la cooperazione e l’alleanza terapeutica hanno un valore etico fondamentale: il riconoscimento e la fiducia che derivano dal condividere un clima di cooperazione e nello stabilirsi di rapporti eticamente riconoscibili è un elemento indispensabile dell’azione terapeutica ed una base importante nella formazione degli psicoterapeuti.