La complessità dell’intervento da Gilbert Pregno a Marcelo Pakman.

Come professionisti che lavorano nel campo della salute, ci confrontiamo con situazioni spesso complesse e differenti fra loro: in molte riusciamo ad attuare degli interventi validi in altre sentiamo che il nostro impegno porta risultati meno proficui.

Quando gli interventi risultano fallaci ci troviamo a sperimentare un senso di affaticamento, se non di vera e propria frustrazione, con la netta sensazione finale di aver sbagliato, di aver fallito. Le cause alle quali facciamo riferimento siamo noi stessi, l’équipe nella quale lavoriamo, agli attori esterni, ma qualunque sia il capro espiatorio che designeremo, il risultato sarà lì a ricordarci il nostro fallimento.

Associata a questa frustrazione c’è anche la riflessione che si sarebbe potuto agire diversamente, ma spesso non riusciamo a coglierne chiaramente le alternative; questo perché siamo parte del sistema che cerchiamo di comprendere e di spiegare e siamo parte di relazioni e di ruoli che indossiamo come abiti cuciti su misura.

Come fare allora?

Lo strumento più funzionale che abbiamo a disposizione è quello della supervisione, l’ausilio quindi di un altro professionista che permetta di ragionare sull’intervento ad un livello differente da quello in cui lo abbiamo realizzato. Un livello che pur con qualche ‘sofferenza‘, ci permettere di rispondere a delle domande quasi sempre uguali:

  • Dove abbiamo sbagliato?
  • Dove, quando e come potevamo fare qualcosa di diverso, di migliore?
  • Come attrezzarci per casi analoghi?

supervisione - Gilbert PregnoQueste sono anche le domande che si sono posti gli operatori della casa-famiglia per minori, nella quale lavora Gemma Montagna. Il caso presentato nel corso del workshop con Gilbert Pregno (11-12 febbraio 2015) è stato portato da lei, per conto di un’equipe di lavoro che si è sentita ‘sconfitta’ da una situazione che aveva cancellato “come le scritte sulla sabbia dal mare” i buoni risultati ottenuti, in brevissimo tempo.

Quello che ci dicono queste domande, il caso che si presenta e che il supervisore prende in carico non è solo un ragionamento sul miglior modo di agire, ma anche un ausilio all’elaborazione del lutto di un intervento fatto.

Una supervisione diventa quindi un’elaborazione di accadimenti, ragionamenti, azioni, vissuti.

Uno tra i tanti insegnamenti di Gilbert Pregno è stato quello del non perdere di vista il contesto culturale-normativo nel quale ci si muove. Abbastanza spesso – ho lavorato in una comunità a doppia diagnosi per diversi anni – ci si sente, come detto in un intervento del workshop, ‘in trincea‘. Si sposa il lavorare per il benessere di chi abbiamo davanti, siano essi minori o adulti, con il rischio di un restringimento selettivo progressivo della visuale. E così gli altri  attori presenti nella situazione – genitori, tribunale,  servizio sociale, ecc – iniziano ad essere percepiti come entità da cui difendersi, che in qualche modo negano (con atti più o meno espliciti) i bisogni che noi vediamo tutti i giorni espressi da quelle persone.

Ma la realtà è quella e comunque dobbiamo farci i conti. Non si tratta di un atteggiamento scoraggiante, ma di una presa di coscienza di una situazione che non può essere cambiata con un singolo caso e per la quale eticamente qualcosa possiamo e dobbiamo fare, ma della quale dobbiamo anche rispettarne l’esistenza. Negarla, l’arrabbiarsi, l’accanirsi non serve a nulla, se non ad amplificare il senso i delusione e di impotenza.

E’ vero, noi facciamo del nostro meglio per ogni singola situazione che incontriamo, ma la realtà in situazioni complesse è per forza essa stessa complessa e avrà anch’essa dei limiti ma anche delle sue risorse, con dei suoi tempi specifici per il cambiamento. Il nostro intervento è di conseguenza un frazionamento di questa realtà e in tale complessità dovrebbe essere ricollocato. La psicoterapia, i colloqui, il sostegno, malgrado le nostre illusioni rientrano sempre in un più ampio sistema in cui rientrano anche aspetti politico-decisionali dei quali faremmo volentieri a meno, ma che esistono e la cosa migliore non può essere ignorarli, ma conoscerli, comprenderli.

Grazie e arrivederci Gilbert e ben prossimo arrivato Marcelo!

 

Gianpaolo Bocci