Lavorare nel campo del maltrattamento e abuso all’infanzia mette particolarmente in gioco noi operatori, ci costringe ad avvicinarci a parti oscure e sofferenti, a percorrere come equilibristi il filo teso tra comprensione e giudizio, tra cura e protezione, tesi nello sforzo di trovare una giusta distanza.
In questi giorni è nelle sale un film che riesce a toccare con particolare maestria e delicatezza questo tema: “La pazza gioia” di Virzì; un film doloroso, un film che fa toccare con mano come spesso tenere insieme il punto di vista del bambino e quello del genitore, sia un’operazione di alto equilibrismo…
Il dramma sta tutto nella frase di una delle protagoniste:
“Dice, sto troppo male per tenere il bimbo, una mattina vengono a prendermelo in 8. Allora curatemi, no? Datemi Elia, che mi curate levandolo?”
Valutare le competenze genitoriali, in un’ottica sistemica, vuol dire proprio cercare di tenere insieme tutte le parti: le ragioni, le esigenze, la storia dei genitori, da un lato, e le ragioni, i bisogni, la necessità di protezione dei figli, dall’altro.
Un figlio non può, non deve essere la cura del proprio genitore, ma un figlio ha bisogno, diritto, alla cura del proprio genitore…
Il film ha il merito di non dividere il mondo in buoni e cattivi, vediamo e capiamo le ragioni di tutti, e proprio per questo la sofferenza è maggiore. Sarebbe più facile parteggiare per uno o l’altro dei personaggi, operazione difensiva che spesso mettiamo in atto da operatori quando il dolore e la complessità sono troppo forti, quando il filo è teso troppo in alto, quando il rischio di cadere e farsi male è troppo grande…
Il film tiene lo spettatore continuamente in bilico… ricorda quanto è faticoso e doloroso mantenere uno sguardo che cerca giusta distanza, oscillare tra punti di vista e vissuti di madri, padri, figli, di 3 generazioni, nello sforzo di costruire un affresco in cui nessuno resti fuori, in cui ci sia posto per le ragioni e i vissuti di tutti.
Il finale apre a uno scenario in cui “il supremo interesse del minore” funge finalmente da vero da principio ordinatore… e porta “miracolosamente” gli adulti a farsi da parte, ad accogliere la complessità dei legami e ad accettare di farsi curare, per rispetto, per amore, perché quello è il momento in cui si diventa davvero “madri”.
Monica Micheli
Approfondimenti:
Bowlby J. La violenza nella famiglia in Terapia Familiare N. 20, 1986
Cirillo Stefano Cattivi Genitori, Cortina, Milano 2005