Nel 2009 mi sono imbattuta nel mondo della Sclerosi Laterale Amiotrofica per volere del prof. Maurizio Inghilleri e del nascente Centro SLA del policlinico Umberto I di Roma. I primi mesi e direi anche il primo anno sono serviti a scoprire cos’è la SLA al di là dei libri di testo di neurologia.
Cos’é la SLA.
Nei sacri testi la SLA è descritta come una degenerazione progressiva del primo e secondo neurone di moto che porta a atrofia muscolare e a morte per insufficienza respiratoria entro i 3/5 anni dalla diagnosi. L’età media di insorgenza della patologia è intorno ai 55 anni. In Italia non esiste, ad oggi, un registro nazionale di patologia quindi i dati di incidenza e prevalenza sono stime statistiche. Le estrapolazioni statistiche evidenziano un’incidenza di circa 3 casi ogni 100.000 abitanti/anno, e una prevalenza di 10 casi ogni 100.000 abitanti. L’eziopatogenesi è ancora sconosciuta con ipotesi di coinvolgimento genetico, infiammatorio e ambientale.
La SLA pur nella sua “semplicità” di descrizione del processo neurodegenerativo comporta una complessità di problematiche sanitarie e di assistenza che necessita, per la sua presa in carico, di una molteplicità di specialisti e di approcci.
La Diagnosi della SLA e il primo intervento psicologico.
L’accertamento diagnostico prevede un percorso neurologico e di valutazione neurofisiologica (la valutazione elettromiografica) con indagini ripetute nel tempo al fine di verificare il decorso della degenerazione e quindi la certezza della diagnosi. In questo percorso l’accompagnamento psicologico tra timori, speranze e illusioni dovrebbe essere puntuale al fine di supportare oltre che il paziente anche il neurologo. Quest’ultimo, se lasciato solo, rischia di esporsi ed esporre il paziente ad angosce di morte non gestibili emotivamente.
Nel corso delle visite ambulatoriali e ospedaliere il paziente è sottoposto a valutazione della capacità respiratoria, della capacità deglutitoria, valutazione nutrizionale e della mobilità degli arti. Per ognuna di queste funzioni controllate si possono prevedere, nei vari step della malattia, ausili e presidi per vicariare le funzioni che la malattia espropria, così come interventi di tipo riabilitativo volti al mantenimento delle funzioni ancora in essere.
L’approccio sistemico-relazionale nella complessità dell’intervento.
La cura e il supporto psicologico sono in stretta correlazione con tutto ciò che comporta la patologia neurologica di base. L’approccio sistemico-relazionale, appreso negli anni di formazione presso la IEFCOS, è stato fondamentale per muovermi tra specialisti medici, ma soprattutto per incontrare le persone nei luoghi più disparati (corridoi di ospedale, pronto soccorso, ambulatorio durante le altre visite specialistiche, domiciliari etc) avendo dentro di me un setting mentale di cura e valutazione clinica.
Solo da questa breve carrellata descrittiva si può comprendere quante persone, professionisti, terapisti i pazienti e familiari conosceranno ed entreranno in relazione una volta avuta la diagnosi di SLA. Tutto questo mondo della disabilità viene generalmente catapultato su persone e famiglie che spesso neanche conoscevano il loro medico di medicina generale.
Il mio approccio di sostegno psicologico, vista la problematica complessa, non poteva ridursi a dei semplici colloqui con il paziente volti a lenire le angosce. Molte volte sono i pazienti stessi che dopo qualche colloquio individuale chiedono che si aiutino i loro familiari. Oppure, altre volte, la problematica neurologica investe anche i distretti di tipo cognitivo e si deve lavorare sulla gestione dei disturbi di tipo comportamentale. Ad una patologia complessa la risposta di tipo psicologico non può essere semplice, ma con il setting clinico nella testa dello psicologo deve prevedere il raccordo con i vari professionisti che entrano nella famiglia e effettuano assistenza. Il sostegno psicologico più efficace è quello della rete di vari professionisti (medici, infermieri, fisioterapisti, logopedisti, terapisti occupazionali, assistenti familiari etc.).
Nella mia esperienza professionale ho avuto la fortuna di prendere parte al progetto sperimentale di assistenza domiciliare di pazienti a stadi iniziali di patologia con la ASL RMA. Questo periodo di lavoro è stato di grande rilievo perché si è riusciti ad effettuare valutazioni di raccordo tra i medici ospedalieri e i terapisti domiciliari. Il raccordo, il passaggio di informazioni che effettuavo dava la possibilità anche di diminuire gli accessi ambulatoriali ospedalieri migliorando l’assistenza e la qualità della vita dei pazienti e dei familiari. Per questi pazienti e per i familiari, anche nelle fasi iniziali di malattia, poter uscire di casa per farsi una passeggiata e non solo per andare in ospedale è una grande conquista di vitalità.
Il supporto psicologico.
Il lavoro di supporto psicologico per questi pazienti è, a mio parere, in primo luogo volto alla chiarificazione dei bisogni e delle richieste di aiuto. Nell’angoscia e nella disperazione che comporta ricevere la diagnosi di SLA risulta difficile comprendere dove andare a reperire le risorse per continuare a vivere con dignità.
Altro grande capitolo del sostegno psicologico è relativo alla scelta delle metodiche di intervento medico sul proprio corpo. La SLA porta a decesso per insufficienza respiratoria. Ma la funzione respiratoria può essere “facilmente” supportata da metodiche di ventilazione non invasive prima e invasive successivamente. Ovvero tramite un ventilatore e una mascherina o un tubo direttamente in trachea per respirare. La scelta di adottare o meno queste metodiche è in primo luogo del paziente. Ma la scelta deve essere consapevole di tutte le sue componenti, quindi deve prevedere uno o più momenti di informazione da parte del mondo medico. La SLA pone medici, pazienti e familiari dentro una grande rivoluzione culturale nella prassi dell’assistenza medica: da una valutazione paternalistica dove è il medico che decide del destino del paziente ad una visione di responsabilità condivisa.
Il supporto psicologico in queste fasi viaggia sul filo del funambolo. La scelta è del paziente. Sappiamo che una scelta dipende sempre da tante circostanze che vanno dalla condizione economica della famiglia sino alla paura di morire. Alcuni pazienti chiedono invece di non scegliere; il rispetto per la non scelta porta con se il peso di dover far scegliere a qualche familiare o al medico di turno al pronto soccorso. Se rintracciato per tempo questo meccanismo di delega della scelta è possibile lavorare emotivamente con il paziente (in questo caso il setting individuale è molto importante) per una riflessione sulle scelte pensabili.
SLA tra malattia del singolo e patologia condivisa.
Nel caso della SLA, più che in altre situazioni cliniche, la malattia del singolo diventa patologia condivisa da tutto il nucleo familiare che non può non esserne invaso. In questo contesto avere una formazione sistemico-relazionale è di grande supporto per distinguere piani e livelli di funzionamento e per non focalizzarsi esclusivamente sulla dimensione di angoscia individuale ma andare a rintracciare resilienze possibili.
Alessia Pizzimenti
avrei bisogno di una sua email. Grazie
Buonasera,
lieto di aiutarla, mi può specificare la persona della quale vorrebbe avere l’email?