Alessandro ARESU, Filosofia della navigazione, introduzione di Massimo Cacciari, Tascabili Bompiani, Milano 2006

Ovvero Platone è meglio del Prozac!

Alessandro Aresu è nato a Cagliari nel 1983. Vive a Milano e studia presso la Facoltà di Filosofia del San Raffaele di Milano, dove si sta laureando con una tesi su Shakespeare. È allievo di Massimo Cacciari, Enzo Bianchi e Guido Rossi. I suoi principali campi di ricerca sono l’estetica, la filosofia della storia e la relazione tra filosofia e teologia.

“Ma se il Mare inghiottisse la Terra cesserebbe di essere Mare. Egli è ‘sposato’ alla Terra Madre da un conflitto insuperabile. Nereo, che insieme generano, è il loro oracolo: sempre la Terra cercherà di imporre il proprio ‘diritto’ sul Mare, e sempre il mare ‘disarcionerà’ chi voglia sottometterlo con prepotenza. La terra non dovrà smettere di temere il Mare, né il Mare di ‘sedurre’ la Terra, chiamando a sé via dalle loro case i mortali. E di ‘terremotarli’, quando vi si credono al sicuro.”

Dall’Introduzione di Massimo Cacciari

“Il libro dell’Apocalisse dice che alla fine dei tempi non ci sarà più il mare. Che ne pensa la filosofia? La storia dei filosofi tra le onde è caratterizzata da passioni e lotte. Ed è legata più che mai al rapporto con la politica, a partire da Platone e dal tentativo di governare la nave dello Stato senza farla affondare. I grandi del pensiero hanno navigato dialogando con eroi, come l’Ulisse di Omero e di Dante, sbarcando in isole, come Utopia, cercando un senso nella storia, come Hegel. Ripetendo a gran voce che, nei naufragi come nelle tempeste, si parla di noi, dei problemi dell’Europa e della politica che stiamo vivendo.”

Dalla IV di copertina

SOMMARIO

  • Antefatti mitologici     M.Cacciari
  • Il filosofo s’imbarca: da Platone ad Hegel
  • I pericoli del mare: il volo di Ulisse e la disperazione di Achab
  • Utopia: morte della navigazione
  • Shakespeare: La Tempesta, felice naufragio
  • Dall’isola alla nave
  • Navigare la storia

    ANTEFATTI MITOLOGICI (M.Cacciari)

Acqua: principio, alimento di tutte le cose

Mare amaro-salato: che unisce-divide: pòntos dal lt.pòntus=mare

Proteo: proteiforme, che assume aspetti differenti; nella mitologia greca è il mitico vecchio nato dalle acque capace di trasformarsi in svariati animali ed elementi della natura. Egli dà del mare l’immagine più veridica, ne esalta la fluidità

“Mai fisso, mai afferrabile, mai contenibile in un nome, simbolo della stessa energia che conduce al porto le navi e che le distrugge, che si distende sereno ai piedi della terra e che la squassa e sconvolge, riaffermando la propria arcaica signoria: gaieochos, ennosigaios[1] (p.5)

Dal mare, dall’acqua l’incessante terrae-motus che trasforma i luoghi dove abita l’uomo e non concede loro quiete.

Si lascerà dominare il Mare o balzerà fuori dai suoi letti con la furia dei cavalli indomabili?

Posto l’interrogativo “Chi dei due avrà la meglio?” all’oracolo dell’acqua, Proteo-Nereo risponde con un enigma, un’interrogazione che viene posta alla riflessione filosofica. Chi sei tu, qual è la tua essenza?

Il Mare è sposato alla Terra da un conflitto insuperabile. Sempre la Terra cercherà di imporre il proprio ‘diritto’ sul Mare, e sempre il Mare ‘disarcionerà’ chi voglia sottometterlo con prepotenza, ma la Terra non dovrà smettere di temere il Mare, né il mare di sedurre la Terra. Il suo compito è quello di sradicare i mortali dalle loro case sicure.

Nella contesa tra Atena e Poseidone, prevale la “iustissima Tellus”; Poseidone non potrà conquistare l’Attica, il suo dominio dovrà contenersi nelle immense distese del mare.

Ma la conciliazione con esso è la “cura” dei figli di Atena, instancabilmente essi debbono cercare di placare l’ira di Poseidone

L’ulivo sacro ad Atena e simbolo della terra germoglia in flotte e navi

La radice terranea in talassocrazia.

Filosofia della navigazione
Filosofia della navigazione di Alessandro Aresu
Tascabili Bombiani

QUESTI GLI ANTEFATTI

La metafora della navigazione può spiegare la ricerca, l’esplorazione filosofica, l’inquietudine, lo sradicamento (eros-aoikos) che caratterizza lo spirito europeo?

La città che si abita è il luogo del puro opinare, dell’abitudine, occorre:

liberarsi dalle carene,

sfidare il mare aperto

cercare nuove terre dove pervenire alla verità, sfidando il rischio del naufragio

2 i percorsi possibili:

  1. navigazione come ricerca del vero, dove verità coincide con certezza e il ‘vero’ appare alla conclusione del discorso; dove il compimento dell’inquietudine, del dinamismo è nel raggiungimento dell’in-quiete.

“La navigazione è allora metafora del procedimento attraverso cui si perviene al  “quod erat demostrandum”, arte dialettica che permette di afferrare e ri-presentare nel concetto ciò che “lateva” immanente nell’origine” (p.7)

nelle anime “inquiete” è già contenuto all’origine lo stare “in quiete”

  • il porto di arrivo può essere pensato come PORTA ad un’altra navigazione, stazione d’inizio di un nuovo interrogare. La nuova certezza spinge lo sguardo verso “ciò” che l’ha resa possibile, l’inesauribile latenza della fonte.

Porto come fine-iniziazione (teleuté: fine, termine, compimento) a “ciò” che eccede ogni determinazione-definizione, a “ciò” che trascende ogni nomos terraneo e tuttavia si manifesta in esso proprio nella sua inafferrabilità.

Allora:

  1. “prima navigazione: Pericle: la conquista. L’abbandono della casa per affidarsi al   mare: nati per non aver mai pace; instancabili facitori del nuovo
  2. “seconda navigazione”: Anassagora: ricerca del principio primo. Distacco dall’opinare. La ricerca dell’arché che congiunge la molteplicità
  3. “terza navigazione”: Socrate: conosci te stesso, condizione trascendentale di ogni conoscenza
  4. “oltre”: Platone: la dipartita radicale senza ritorno. Viaggio di pura avventura. Ek-stasi dalle connessioni abituali per tentare l’impossibile, cioè dare forma all’in-visibile, all’imponderabile, al problema insolvibile

1.2.3. mettono in crisi la centralità della terra, aprendo al mare, ma avendo ancora di mira il porto.

4.l’anima si lancia nel sublime. Dove nessuna meta è più definibile. Nessun confine può essere tracciato all’In-finito. Il marinaio si trasforma in “astronauta” che mai potrà arrestare il suo andare errando, qualsiasi pianeta raggiunga.

Forse l’esito era già scritto nel mito poiché tra Atena e Poseidone è Zeus a trionfare. Il dominio dell’Aria alla fine decide.(p.9)

PREMESSA

A.Aresu si domanda che cosa vuol dire “imbarcarsi” e navigare appassionatamente.Interpreta il navigare come esplorazione del gesto del pensare e intende rispondere con l’aiuto di:

  • Platone: quali problemi pone intorno alla navigazione, in particolare
    • La chiamata al pensiero
    • L’attività politica
  • Hegel e l’interpretazione della storia del mondo, nel tentativo di leggere le “carte” del presente per “scuoterlo”

Passando attraverso i volti e i luoghi della navigazione, che nel nostro immaginario costituiscono i pericoli e  le virtù del mare, cioè del pensare.

Alla domanda: che cosa significa navigare? Pensare? Rispondono grandi personaggi della letteratura

  • Il canto di Ulisse nell’Inferno dantesco
  • Moby Dick di Herman Melville
  • Utopia: come negazione della navigazione: sbarcare in un’isola, dimenticare il mare, gettarsi in un’organizzazione di cui tutti i membri sono schiavi
  • La Tempesta di Shakespeare, per recuperare la metafora dell’isola in cui abita la magia di un teatro volto a dare gioia, ma al contempo consapevole di quel mare che lo circonda, il cui oltrepassamento potrebbe anche significare la sua fine (la rinunciare alla magia equivale ad accettare la possibilità di morire)
  • Con il ritorno al mare aperto attraverso Kant e Nietzsche, saremo pronti a tuffarci nel mare di Hegel
  •  

Questa è la rotta, alle navi! (p.14)

A. PLATONE

Ap.21,1 “Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più

Alla fine il mare non ci sarà più…

Ma per ora c’è e continua a chiamare.

La sfida del mare è l’avventura della vita, l’enigma della conoscenza di sé, la scoperta del nuovo e dello straniero, l’invito a non stare fermo nell’ozio  delle isole, ma a misurarsi con il coraggio insito in ogni attività

I.CHIAMATA ABRAMITICA

Il mare chiama “Esci dalla tua terra” è uno sradicamento iniziale e il filosofo risponde facendosi straniero, iniziando la ricerca, tendendo alla sapienza, inseguendola e mai possedendola

Poiché un simile possesso eliminerebbe l’Eros, il desiderio

Non è la sapienza divina:

gli dei già la posseggono e non hanno bisogno di correrle incontro, di amarla.

Il filosofo è nel frammezzo sospeso tra le cose di lassù e le cose di quaggiù in mezzo tra la sapienza e l’ignoranza, in continuo movimento, in continuo divenire, si attacca ai flussi delle sue passioni, vivendo pienamente per ciò che ama: è l’irrequieto, vive nel rischio, non ha casa, risponde alla chiamata, mai pienamente appagato

Il filosofo è l’aoikos, il privo di casa, non abita la terra, non può stare con la terra sotto i piedi, in ogni luogo ritrova quello spunto per l’oltrepassamento.

Il MARE allo stesso modo si presenta agli uomini come luogo non abitabile, che chiede di oltrepassare gli “orizzonti dei loro pregiudizi”, sfidando e sfidandosi

La filosofia si spegne senza il desiderio-eros di andare oltre. L’esperienza del filosofo sarà povera, ma è questa povertà che lo spinge oltre, lo fa desiderare gli fa intuire che ciò che sta fuori di lui lo chiama.

È in questo RISPONDERE ALLA CHIAMATA  (de-sirio = chiamata che viene da fuori, dalle stelle) che la filosofia si lega alla metafora del mare e della navigazione. Essa come attività impone ai filosofi di abbandonare ogni facile patria, di lasciarsi alle spalle credenze e pregiudizi, per decidersi di andare.

Dove?

Alla ricerca di nuove strade, non già tracciate. Il filosofo si interroga sul senso del viaggio e sugli strumenti, sul metodo da adoperare durante la navigazione. Egli cerca la verità le esperienze dovranno essere criticate e analizzate. Si domanda se è possibile conoscere la verità se non si è già nella verità? Eppure se si conosce l’approdo è inutile la navigazione,in essa  invece di gioco fecondo, il pensiero si arena.

Qual è allora il senso della domanda, dell’enigma?

L’enigma, la domanda è l’insegnamento per eccellenza “chi sei TU?” “conosci te stesso” Enigma perché soggetto conoscente e oggetto coincidono. Come si può conoscere se stessi? Quello che conosciamo, siamo davvero noi, la nostra anima o una delle tante maschere che di volta in volta indossiamo? È il problema di “che cos’è l’uomo”

Allora il filosofo invita gli uomini alla navigazione a sfidare l’elemento che non ci appartiene e cercare noi stessi all’interno di questa sfida.

Il tentativo di andare in profondità senza volgersi in delirio consapevoli del rischio che l’errore può portare al naufragio.(cfr.p.15-20)

II NAVI O ZATTERE

Sicurezza, rischi e pericoli della navigazione; desiderio di una rivelazione; rapporto tra filosofia e teologia.

La terra da cui parte l’uomo è una terra corrosa dal mare in essa gli uomini si trovano “in fondo al mare come rane o formiche intorno ad uno stagno” (Fedone)[2], avendo una visione limitata del mondo e ignorando l’esistenza di altri uomini. Solo l’elevazione (tema del volo) come ambizione alla perfezione ci conduce finalmente a casa, nella “pianura della Verità”, oltre il cielo, nell’Iperuranio, dove è possibile contemplare le Idee, l’evento improvviso di una bellezza che non ha forma, né colore, né luogo, né terra, né cielo ma si radica in uno spazio di confine: un’esperienza liminale.

“La beatitudine che rende l’uomo divino sta nel salire in alto fino al cielo, elevandosi rispetto alla cose di quaggiù: pertanto il desiderio estremo della filosofia è distaccarsi dalla terra, attraverso la navigazione aerea che eleva l’anima. Appare il fondamentale tema del volo, che permette uno sguardo dall’alto che finalmente riesce ad orientare i nostri sguardi limitati” (p.21)

FEDONE: narra la morte di Socrate, cioè l’esortazione alla filosofia. Con la morte, infatti, non muore la richiesta degli uomini in cammino di scholé, di tempo per la cura dell’anima, tempo per dare forma a ciò che si è, indispensabile per la felicità che tutti cerchiamo.

Ma, per adoperare il tempo per la cura dell’anima SI DEVE VIVERE e così anche nel momento della morte Socrate invita a vivere da filosofo, prendendosi cura della morte, non nel senso di “amare la morte” desiderandola ma al contrario AMARE LA VITA CHE SI PUO’ VIVERE. Dare SENSO al tempo, allora anche il morire diventa musica, opera d’arte in continuità con l’opera che la vita è stata o può essere. Socrate manifesta questa sua volontà con il “discorso migliore e meno facile da confutare” la dimostrazione dell’immortalità dell’anima. Socrate vuole riflettere con gli amici, la ricerca continua non si può interrompere proprio nell’imminenza della morte, la sua “bella speranza” è di ritrovarsi assieme, anche dopo morti e continuare a riflettere e a parlare. A fare filosofia, a procedere con la zattera. Dopo la morte non sappiamo cosa c’è: o non ci sarà nulla o ci sarà qualcosa (cfr.p.23)

Scrive Platone nel Fedone: “Trattandosi di questi argomenti, non è possibile se non fare una di queste cose: o apprendere da altri come stiano le cose, oppure scoprirlo da se stessi; oppure se ciò è impossibile, accettare, tra i ragionamenti umani, quello migliore e meno facile da confutare, e su quello come su una zattera, affrontare il rischio della traversata del mare della vita: a meno che non possa fare il viaggio in modo più sicuro e con minor rischio su più solida nave, cioè affidandosi a una rivelazione divina” (p.24)

Tre sono dunque le navigazioni che si aprono:

  • L’anima che si desta, si meraviglia, percepisce lo spettacolo della natura e ne cerca le cause;
  • Si pone l’enigma, l’interrogativo di chi è che si meraviglia, che si interroga. La ricerca non si limita alla realtà esterna ma allo “sguardo” del soggetto, conosci te stesso, ma quando l’uomo si interroga su di sé il rischio è che si interrompa la navigazione. “Non crediamo forse che coinvolgere pienamente noi stessi, il nostro enigma, in ogni questione della vita non sia una “perdita di tempo?”(p.24)

Qui a partire dalla zattera ferma, perplessa si apre lo spazio metafisico dove gli amanti della sapienza imbracciano i remi-ragionamenti che partono alla conquista del piano ideale, del coinvolgimento, dell’intreccio del soprasensibile nel sensibile.

  • Un’altra possibilità, la III navigazione è la rivelazione divina, la “bella speranza” di Socrate, una porta aperta ma non indagabile, né dimostrabile attraverso il discorso filosofico.

Paragone tra Socrate e Cristo: la cui somiglianza sta soprattutto nella dissomiglianza (Kierkegaard)

Socrate: muore facendo un discorso: Stimolando Atene alla riflessione sull’uccisione del giusto

Cristo: muore in silenzio. Lui, la sua presenza sono il Verbo, il discorso, il Logos. Alla domanda di Pilato: “che cos’è la verità”, Cristo tace, poiché la risposta è: l’uomo che ti sta davanti: Quid est veritas?Est vir qui adest, come dicevano i medievali con un geniale anagramma. (p.25-26)

Molti hanno visto nella III navigazione un’anticipazione del Cristianesimo: Agostino la riprende proprio per indicarne la continuità e la discontinuità tra filosofia cristiana e pensiero platonico: dove si ferma la ragione, subentra la Rivelazione

Ora si dispone di una nave: il legno della croce di Cristo, colui che ci consente di traghettare il mare di questo secolo. La Rivelazione è avvenuta, il rischio si mitiga, ma l’inquietudine rimane, si dovrà sempre andare tra pericoli e avversità, sfidare e sfidarsi, a maggior ragione se si sta nella sequela di Cristo, tenendone ferma l’umiltà.

I rischi celati dal mare sono sempre presenti, molti sono i temi biblici e teologici intorno al mare

BASILIO DI CESAREA: parla della bellezza del mare nella Genesi

Ma troviamo anche il DILUVIO: pericolo della traversata, l’essere nel mondo avverso, dove si vive e si anima il combattimento spirituale.

NOE’ conduce alla salvezza: il tempo della costruzione dell’arca è lo spazio dell’attesa

CRISTO conduce alla salvezza: la venuta di Cristo che porta la pace e dà compimento alla storia.

L’arca dell’ATTESA si costruisce con la FEDE facendo spazio alla coabitazione di tutti gli animali, ricordando che alla fine dei tempi “il lupo e l’agnello pascoleranno insieme” (Is. 65,25)

Il porto di arrivo è il “porto dell’amore” dove transitano EROS e AGAPE

EROS l’amore possessione che va in “caccia” di ciò che gli manca

AGAPE il dono di un amore che non chiede il possesso ma giunge all’estremo sacrificio per l’amato.

Sono questi i due concetti entro cui si muove la riflessione culturale dell’Occidente

 

Teologia                                                                     Ob.contemplazione mondo Iperuranio

Agape

Filosofia                                                               Cantico dei Cantici

Eros-desiderio

Nella Rivelazione c’è un oltrepassamento. Dall’Eterno si sprigiona una Parola nel tempo, che è fondamento della navigazione nell’essenza religiosa di un singolo o di un popolo.

C’è un pathos in questo Dio che cerca, desidera, esprime ardente amore per la sua creatura.

ARESU pone l’accento sull’assenza, nel contesto filosofico occ., della riflessione sulla PHILIA: forte senso di amicizia, felice combattimento che tenta di comprendere l’altro, il nostro prossimo, che è il nostro problema ma anche la nostra ricchezza (Florenskij: filosofo,teologo,matematico,mistico)

III LA SPIAGGIA DEL RITORNO (Simposio)

Irrequietezza- il  mare chiama. Si intraprende il viaggio:

  • che cos’è la natura, gli elementi
  • chi è che guarda: l’enigma dell’uomo
  • seconda navigazione: la contemplazione delle idee
  • ritorno in città

Il filosofo è colui che intende parlare alla città, ritorna in città con il governo di se stesso[3] e con una parola contro la schiavitù, l’oscurità, per vivere filosoficamente in quella prassi per eccellenza che è fare politica.

EROS e AFRODITE, amore e bellezza si intrecciano. Il filosofo insegna l’amore del bello e la saggezza impara a nuotare nel “vasto mare del bello” con sforzo, con esercizio fino a quando improvvisamente appare la rivelazione del bello in sé

Bello=       KALON è ciò che

chiama=    KALEIN

quando il filosofo raggiunge il vertice, la fonte della chiamata, SA il bello, lo possiede, non prova più eros. Nulla è più degno di ricerca. Bello è proprio il suo “stare” senza riportarsi ad altro. L’ultima Bellezza è tale evento, l’incontro.

PROBLEMA: il problema sta nel come  definire l’in sé, rispettando quell’assenza di definizioni che lo libera dalle contaminazioni rendendolo quel che è.

Ma allora che senso ha andare dietro ad esperienze di cui non si può parlare, in quanto improvvise e inesprimibili? Chi seguirà mai una filosofia dell’”impossibile”? Questa curiosa scienza che “accade” improvvisamente nell’anima? Dovremo parlare anche di questo silenzio, non ci si può arrestare senza porsi il problema dell’espressione. Lo stesso mistero è tale per essere rivelato, e dunque conosciuto e dunque penetrato.

Scrive Platone nel celebre “excursus” della Lettera VII: “Questa non è una scienza che si possa insegnare come le altre: è qualcosa che nasce dall’improvviso (exaiphnes) nell’anima dopo un lungo rapporto e una convivenza assidua con l’argomento, come la scintilla che scaturisce dal fuoco e poi si nutre di se stessa” (Lettera VII,341 C-D)

Si pone allora il problema di quale sia il fine della filosofia se è la teo-logia, cioè la contemplazione delle idee, oppure altro.

Decidersi per la filosofia è decidersi per il fare, per l’azione, per il logos, per il discorso, per l’argomentare.

L’uomo decide di vivere all’interno di una comunità dove adopera il linguaggio, dunque il filosofo torna con una parola che testimonia nel sociale

IL VIVERE NEL SOCIALE ATTRAVERSO IL GOVERNO DI SE STESSI E’ PER ECCELLENZA FARE POLITICA (cfr.p.30-35)

IV IL MARE DEL DISINCANTO (Politico e Timeo)

Il filosofo è un provocatore, un agitatore sociale

Dal pastore al timoniere  (lt.gubernator)

Dall’età dell’oro al presente governo

Dall’Utopia allo spazio e tempo, al luogo

Dall’eterna giovinezza delle continue rinascite alla storia.

Esaurite le nascite la tempesta rovescia il cosmo, dalla strage sorge il nuovo che riporta l’ordine

Ciò è NECESSITA’; neanche un dio può arginare la tempesta finale

Il mito ci risveglia ci rende consapevoli del rovesciamento di cui siamo figli, il disincanto del mito ci educa, siamo gettati nella navigazione essa è urgente e inevitabile

“il mito del Politico è un mito del disincanto perché non c’è più un pastore che conduce gli uomini al pascolo ma un uomo che deve fare i conti con un equipaggio. La metafora per eccellenza della politica è una navigazione che ha una rotta. Il suo protagonista è un timoniere che ha sempre davanti a sé la possibilità del naufragio e che dovrà trovare la collaborazione degli altri passeggeri della nave per salvare e salvarsi” (p.47)

il mito ha funzione anti-idolatrica perché sempre ci saranno uomini che pensano di essere pascolati e si fabbricheranno degli idoli. Il mito risveglia al giudizio, al discernimento, è un invito a ragionare in termini politici, di azione, di fare, di prassi non in termini di CRONO = tempo fermo che divora i suoi figli; forza che appare resistere ad ogni cambiamento, superamento, progresso; è il trattenere che impedisce il “venire alla luce”, il dispiegamento (p.45)

Il luogo dove si fa filosofia è Atene: Talassocrazia

Il governo del mare e della navigazione scardina l’ordine della polis. La potenza della polis si manifesta nella capacità di espandersi. Ma nel momento in cui si espande, si supera, si cambiano le regole, gli dei, i limiti, i termini; “le veloci navi ateniesi sono destinate a scardinare la città, a scardinare la logica” (p.36)

Nella Repubblica Platone lega l’attività politica all’esperienza della navigazione (p.37)

Che fanno concretamente i filosofi? Il loro è un fare, un interrogarsi che mette l’uomo davanti al senso della sua prassi (p.39)Essi

  1. sono esperti dell’arte della dialettica
  2. sono avvezzi a liberarsi dai pregiudizi e vedere la realtà com’è
  3. essendo più aperti al reale si accostano meglio al concreto

E’ forte in Platone il legame tra pensiero e città espresso nella metafora della navigazione

TIMEO prologo: si rievoca il viaggio in Egitto di Solone, semileggendaria figura di poeta e legislatore all’alba di Atene: Mito di Atlantide

POLITICO mito marino, età dell’oro

PROLOGO del Timeo:

  1. Elleni, popolo di fanciulli che non invecchia mai
    1. Non invecchia, perché le sue conoscenze non invecchiano mai, non passano, si rinnovano sempre e di nuovo
    1. Non fanno in tempo ad essere trattenute dagli scritti perché vengono inabissate da catastrofi e diluvi ciclici
    1. Quindi gli elleni non conoscono il proprio passato perduto
    1. Gli Egizi, invece, immuni da queste catastrofi hanno immortalato nella scrittura le vestigia di autentiche civiltà oggi sepolte
    1. Tra queste spicca un’antica Atene figlia diretta di Atena dea della guerra e della sapienza
    1. Che riuscì a trattenere, arginare, distruggere la tracotanza di Atlantide nel momento in cui calava dall’Atlantico e minacciava Europa e Asia
    1. Atlantide l’isola di cui si parla, ma non si può sapere, perché non ritorna ciclicamente ma è stata una sola volta, sorgeva dove si mischiano gli stessi “nomi del mare” dove il pelagos (Altomare) diventa pontos, il mare diventa quel mare aperto che nondimeno si spalanca sulla possibilità di un viaggio
    1. Atlantide stava in mare aperto
    1. Atene blocca questa super potenza
    1. Atene chiude il mare
    1. Alla luce di ciò ogni successiva Atene nasce da una limitazione, il suo mondo non può più inoltrarsi nell’Atlantico
    1. Atene ha salvato l’Europa ma è rimasta confinata in essa
    1. Ma anche questa pace,questa armonia conoscerà un declino inevitabile, una fine, un’entropia, poiché ogni cosa che nasce deve morire
    1. E vivere per la città, significa in fondo vivere la finitezza

MITO DEL POLITICO mito marino

  1. Annuncia la caduta del mondo per Necessità potenza superiore agli dei di turno
  2. In una città forte,                            la molteplicità delle arti è inutile, essa riesce ad esprimersi con una sola voce perfetta
  3. Ma questo non è possibile “necessità” ci impone “arrangiamenti armonici”
  4. Saper tessere la città, aver cura del suo ordito questo è il compito dell’uomo politico
  5. Il concetto di politica che umanamente possiamo sta nell’incertezza dell’aver cura, rivolti all’ideale della giustizia
  6. Parallelo tra l’Età dell’Oro, di Crono, di ou-topia, il non luogo dove tutto naturalmente si offre, si spalanca, senza mancanze e un dio provvede quale pastore al suo popolo dove non si fa filosofia, non è necessaria l’azione, la prassi
  7. La politica della città concreta è come trovarsi in mare. Il governo dà luogo alla città e al tempo, niente è dato bisogna tener conto di più variabile, l’imprevisto è sempre in agguato
  8. Figura fondamentale è il kibernetes, il timoniere (lt.gubernator,governo) che governa quella nave in cui lui stesso è imbarcato
  9. Sotto CRONO non c’è cambiamento, gli uomini rinascono continuamente, non possono morire, non possiedono quella finitezza per cui si cerca di formare il mondo, l’uomo non si caratterizza per/attraverso il lavoro, producendo una propria realtà contro la natura
  10. Solo sotto Zeus si fa filosofia, ci si interroga, si pone il nostro enigma, si fa politica, ha senso parlare di governo, perché si è in mare, il pericolo della tempesta è in agguato
  11. La tempesta è il compimento del cosmo (compimento del mandala), il cosmo esaurisce le sue nascite, il timoniere divino abbandona il suo luogo, il cosmo è rovesciato…inizia il tempo, la storia…

V IL NOCCHIERO E LA CITTA’

Vivere sotto Zeus vuol dire sfidare il mare, andare oltre. La partecipazione politica è forse l’immagine più forte di questa vocazione. Il filosofo moderno ciberneuta-timoniere affronta i contrastanti flutti che animano una città per condurla in porto

La storia per eccellenza di questa navigazione è la vita stessa di Platone. Platone fa filosofia e si imbarca nel tentativo di fare politica. Il suo progetto non riesce

  1. esso si fonda sulla contemplazione di quella “scintilla che si accende all’improvviso nell’anima”
  2. è proprio in vista di questa scintilla che egli sente di non dover smettere di cercare e di navigare
  3. ma qui si scontra con il problema della rappresentazione, della comunicazione, dell’espressione: questo evento fondante non può essere insegnato, comunicato poiché ogni parola che vuole dare senso all’evento non pone l’evento ma la sua rappresentazione

E’ la questione della rappresentazione di un Bene inattingibile in quanto per definizione senza-forma. Rappresentare un’assenza che si deve necessariamente far presenza, fa sì che quella presenza non può mai essere quell’assenza.

L’Unità di ciò che viene contemplato non può essere restituito da una realtà che è sempre molteplice: è tale diversità, tale molteplicità che fonda, richiede il discorso politico

Qui ha senso l’educazione, come dare forma al molteplice, armonizzare, trarre frutti fecondi dall’incontro/scontro con la diversità

La philia, quell’amicizia che rende possibile la convivenza, allontanando la tentazione che le diverse voci hanno di distruggersi

La città delle differenze, delle molteplicità RICHIAMA la lotta dell’anima nel Fedro

Per Platone senza la conoscenza di sé è impossibile anche solo immaginare la politica

La conoscenza di sé non è solo un fatto privato, di identità

  • dal lt. privatus = che denota una mancanza, un’incompletezza
    • dal gr. Idion    = idios, privato,isolato; che è la stessa radice del nostro “idiota”; l’idiota è l’individuo incapace di fare filosofia, proprio perché credendo di bastare a se stesso, né vuole conoscersi, né vuole governarsi

“Si ha la possibilità di governo quando si vede un’ulteriorità rispetto al proprio punto di vista, la possibilità di una relazione. Perciò la struttura dell’anima richiama la struttura metafisica della città e del cosmo, che è fatta anch’essa di identità e differenza” (p.50)

Così l’attività e anche l’attività politica mette continuamente chi pensa di fronte all’enigma: “conosci te stesso”

Fare politica vuol dire vivere fino in fondo la condanna del “nocchiero” mettere d’accordo le differenze, senza annullarle, consapevole dei rischi: la sopraffazione di forze primitive e brutali. (cfr.p.53)

La città non può sopprimere tutti quelli che una “parte” ritiene malvagi, il filosofo non può fare un massacro, ma deve riuscire a convincere i più potenti dell’agone politico (p.53)

Ma Platone ha fallito. Ha fallito anche la filosofia? Platone dice: molti si entusiasmano per la filosofia ma si accontentano di opinioni raccolte qua e là, indietreggiando di fronte al PONOS (=travaglio, stento, pena, afflizione. In Omero “la fatica del combattere”) della vita filosofica, così muore l’essenza del filosofare

Ininterrotta è la ricerca, come ininterrotta è la lotta dell’anima con se stessa, con le varie anime che la abitano. Nessuna opinione può giungere a toccare la “cosa”, l’evento, il manifestarsi, l’exaiphnes (p.54)

La tentazione del pastore è sempre in agguato, e compito del filosofo è parlare differenziandosi dal chiasso per testimoniare questa verità profondamente “realistica”.

L’età dell’oro è finita .La nostra è l’età dell’uomo, del disincanto. PUNTO. E proprio qui bisogna “fare”, impegnarsi, vivendo in prima persona la sfida del mare. (cfr.p.55)

VI NAVI ALATE

Tema del volo come armonia, vivacità, abbondanza di vita, libero movimento.

Nel volo, nel movimento degli uccelli, che non hanno mai quiete, c’è la massima rappresentazione della filosofia della navigazione

Lo scoglio, l’ostacolo è che prima o poi gli uomini si accasano, mettono i piedi per terra, se ne stanno oziosi e quieti e incontrano la noia.

Gli uccelli senza posa di Leopardi riprendono il ritratto del filosofo del Simposio, il suo carattere senza casa: AOIKOS

Ma mentre noi abbiamo bisogno di ridurre tutto ciò che incontriamo ad elemento sulla carta (la scienza seria!): manipolabile, controllabile, rischiando così di soccombere sotto l’immagine di un mondo, come Atlante (vedi Atlante di palazzo Farnese)

Gli uccelli scoprono tutto per doti naturali

Essi scoprono, così come volano e cantano, sempre ridendo. E Leopardi sospira: “se” riuscissimo ad imparare quel riso…è un misero colui che ne è incapace; e chi lo possiede – fosse anche la creatura più misera – è simile agli uccelli. L’uomo “vola” quando ride, quando nello spazio del riso, la definizione “uomo, animale risibile” sorpassa la canonica “uomo, animale razionale”. Il travel degli uccelli è privo di travaglio, non rischia il naufragio

BACONE ricorda come nella “Nuova Atlantide” solo gli uccelli scamparono alla rovina, volando via. L’uomo ha sempre focalizzato le proprie ambizioni di oltrepassamento dei confini nel desiderio estremo del volo

Dall’alto le CONRADDIZIONI della città appaiono CHIARE e RISIBILI

ARISTOFANE nella commedia  Gli Uccelli,[4] affronta la decadenza della città conquistata dal mare con GELOS = le grasse risate e le situazioni grottesche. Egli evidenzia le relazioni pericolose del linguaggio:

POLIS = città

POLYS =molto, quantità; differenti voci che non riescono a risuonare come una sola

POLEMOS =incitare alla guerra, i conflitti che infuriano nella città; progetti di espansione contrastanti, conflitti tra visioni del mondo

POLOS =cielo

E nel cielo, secondo la saggezza degli uccelli, l’uomo non è certo cosa meravigliosa ma soltanto “doleròn” = fallace (cfr.p.55-62)

A.    I PERICOLI DEL MARE: il volo di Ulisse e la disperazione di Achab

Il volo, come navigare nel mare del cielo, equivale alla perdita di luogo, e sullo sfondo di questa perdita di luogo, si trovano l’Ulisse dantesco e Achab.

Ulisse: partire per partire, “sans savoir pourquoi » (Baudelaire) ; partire solo per oltrepassare i limiti, l’eterno movimento, senza bussola, né storia, solo EROS, NOSTALGIA; INGANNO

Achab : filosofia della disperazione, il passato che condiziona ogni possibilità del presente; la fissità dell’evento, l’invischiamento in esso, non è possibile evoluzione, cambiamento: DISPERAZIONE.

Questi i due pericoli della navigazione da tener presenti per assaporare la GIOIA DEL RITORNO come parte essenziale del viaggio (p.83)

 Ma anche UTOPIA è un pericolo, in quanto AUTOREFERENZIALE (p.96) essa rappresenta la morte della navigazione, la negazione del mare, la negazione del tempo, la negazione della storia: l’isola che perde il mare, perde con esso anche il tempo. C’è storia solo quando si celebrano le nozze tra Terra e Mare.

Ecco la Tempesta quale salvezza, ulteriorità, possibilità di sviluppo, evoluzione, rinnovata sfida del Mare.

Navigare = metafora del pensiero e della vita

Navigare =esperienza di vita vissuta che riporta con forza alla prassi

I ULISSE

Per Dante il viaggio di Ulisse è volo d’astuzia, volo dei fraudolenti, colui che utilizza espedienti per sopperire ai rovesci della fortuna, ma che rischia di soccombere alla solitudine e alla povertà della sua esperienza

L’Ulisse analizzato da Aresu è quello Dantesco, posto nel girone dei fraudolenti e avvolto in una sola fiamma, il gesto di questo Ulisse è PARTIRE “mi dipartii”, non gli affetti, il ritorno ad Itaca ma l’esperienza dell’andare per mare. L’Ulisse dantesco è invecchiato nell’animo – troppi anni lontano da casa – non vuole più vedere il ritorno, ma semplicemente è rapito dalle tappe del suo viaggio

Ulisse è un fraudolento perché inganna colei a cui aveva promesso il suo amore, inganna il letto nuziale, non paga il debito d’amore.

Ulisse è l’eroe della conoscenza, del “folle volo”, lo spirito inquieto, determinato a passare ogni confine per realizzarsi. Ogni limite è l’ennesimo invito a superare a mettere in discussione ogni confine nell’atto di quell’esperienza che chiama sempre ad andare oltre (Inf. XXVI, 116-120)

Non vogliate negar l’esperienza,

di retro al sol, del mondo senza gente.

Considerate la vostra semenza:

fatti non foste a viver come bruti,

ma per seguir virtute e conoscenza

il viaggio di Ulisse è il viaggio di chi è chiamato dal suo stesso desiderio di esperienza.

Andare, partire, salpare: guarire dall’orrore di una casa che è “data” ma che può essere posseduta solo nella nostalgia del farsi straniero nella situazione di viaggio.

È la forza di osare e di rischiare il naufragio: è nel “vero deserto” (mare) che potrà finalmente trovarsi faccia a faccia con se stesso.

In questo caso la filosofia si chiede quale siano le condizioni di possibilità che caratterizzano ogni viaggio

E l’Ulisse dantesco è un viaggiatore senza metodo, senza bussola, non sa dove sta andando, le sue sono solo esperienze che si susseguono, senza senso. Senz’altro senso se non il continuo passare il limite. Ulisse è senza memoria.

Ogni momento del viaggio è il gesto della partenza. La sete di Ulisse è necessaria alla filosofia, ma il suo viaggio è privo di storia, la sua esperienza non è guidata da un metodo o chiamata da un compito. Ulisse non ha storia dimentica sempre il suo posto, parte da “nessun dove”. Ulisse non agisce da nocchiero, perché vuole conoscenza, ma non vuole conoscersi e quindi non può governarsi. Ulisse non possiede bussola, la sua conoscenza non lo orienta

È un monito di Dante al suo tempo (Marco Polo) che non bisogna tentare viaggi insensati e solo “narrati” e che le uniche esperienze del viaggio dotate di senso sono quelle che rispondono alla “chiamata”. Quelli che rispondono ad una chiamata, in particolare alla chiamata divina.

Il viaggio necessario è proprio quello del pellegrino della Commedia che vuole ricordare che la scoperta resta insensata se chi scopre non riesce a tornare in se stesso, nelle profondità di quell’anima che davvero impone di cercare e di navigare, perché “chiama”(cfr.p.64-70)

II CAPITAN ACHAB e il dramma della fissità: l’evento ha invaso il tempo

a.Si inscena, qui, la filosofia della disperazione DISPERAZIONE # FEDE

L’uomo che si tira addosso la disperazione si lacera nella gabbia del presente; “non si forma un passato che, in rapporto con la realtà, sia trascorso; in ogni momento reale della disperazione,il disperato porta con sé tutto ciò che precedeva come qualcosa di presente nella possibilità” (Kieregaard)

Achab spogliandosi di ogni legame per affrontare il mostro, perde anche se stesso e la sua volontà, egli è un “pesce legato”; la possibilità di ogni libertà è corrosa dalla sua OSSESSIONE per un’unica caccia. (L’uomo libero è colui che ha legami, relazioni, vincoli; colui che non può avere legami è lo schiavo: ha un padrone)

Tutta la vita di Achab è un prendere temerariamente una croce che non gli è stato richiesto di prendere

Achab dispera perché si priva di ogni passione, quindi di ogni orientamento. Achab semplicemente nega la possibilità di guardare oltre, la sua filosofia ha un metodo, ma è il metodo che porta consapevolmente all’autodistruzione

Già all’inizio il mare è presentato come mare della disperazione, che ruba coloro che uccide, non restituisce le ceneri per il pianto, ma getta gli uomini nella disperazione.

Il senso del viaggio che porta a Moby Dich si fa chiaro nell’afflato religioso del sermone di Padre Mappel (cap.IX): Giona è colui che si sottrae alla sua missione, perché sdegnato nei confronti di un Dio che non mantiene le sue promesse di distruzione. Giona intraprende un viaggio sbagliato inseguendo l’idea che il peccatore deve essere punito e si sdegna con un Dio che si intenerisce. Di fronte al suo orgoglio Dio gli palesa la grandezza degli elementi e la sua piccolezza. Umiliato, Giona non dispera, ma con umiltà estrema si affida di nuovo. Ha di nuovo FEDE. “L’uomo, davanti all’immensità, si trova faccia a faccia con la bassezza della sua condizione, e a partire da questa umiltà estrema si affida di nuovo. Ha di nuovo fede” (p.73) ma capitan Achab non è presente al sermone.

b. stranierità, Ombra

Come valore positivo, nello spazio della relazione la ciurma del Pequod è ciurma di stranieri: identità diverse in cui è possibile uno spazio di comparazione

l’unico che non mette in discussione la propria identità è Achab, non riesce mai a farsi straniero, resta aggrappato ad un ruolo, da cui non riesce ad uscire, ruolo non adattabile alla situazione, per lui conta un solo obiettivo, una sola balena, un solo disegno monomaniaco.

Achab si consuma, si corrode nella ricerca, nella caccia, attraverso questa corrosione il mare gli entra nelle vene. Achab diventa la sua stessa ricerca, ne conosce la “follia” ma non se ne può più separare

L’unica legge è la lotta contro il nemico. Moby Dick rappresenta al meglio la forza soverchiante dell’enorme animale;di questa forza e di questa rappresentazione di cui Achab si rivela un vero e proprio “schiavo”(come Atlante, caricarsi di un mondo creato da noi).

Tale schiavitù è l’ardore che lo muove: Achab chiama a gran voce Moby Dick, urlando così la sua stessa incompletezza, la parte del male che gli corrode l’animo e a cui muove guerra. In lui abita l’incapacità di “amare” tutta questa diversità che lo abita: è in fondo un odio per se stesso che riversa sul dorso bianco della balena. “Accumulava sulla gobba della balena bianca la somma di tutta l’ira e di tutto l’odio provati dall’intera sua razza dal tempo di Adamo.” (p.78)

La balena è bianca per indicare l’inquietudine dell’assenza del colore: l’irrapresentabile

Il mito di Moby Dick è un ammonimento solenne alla civiltà. Possiede una forza soverchiante il soggetto fino a portarlo al naufragio perché lo rende consapevole di non poter mai sfidare propriamente a duello quell’oscurità che risulta da ultimo, l’altro lato di se stesso

Achab riconosce la follia del suo scopo, ma tale riconoscimento non arresta la sua corsa, anzi l’alimenta. Egli sa di dover combattere con i suoi fantasmi. Faccia a faccia con questa consapevolezza, proclama lo stesso ostinatamente l’esteriorità del male. Si può odiare il male, come Achab odia Moby Dick, ma si odia allora allo  stesso tempo se stessi

Achab può guarirsi soltanto perdendosi, la caccia alla balena come ogni mito ha valore universale, interroga l’interiorità del lettore. Achab è un “pesce legato”, “privo ormai della minima traccia della libertà di essere se stesso. La possibilità di ogni libertà è stata completamente corrosa dalla sua ossessione per un’unica caccia. È schiavo perché non ha più legami, ha fatto deserto in sé perdendo il ricordo dell’amore, della compassione, della misericordia.

Ulisse e Achab figli del mare, perché da esso inghiottiti

  1. Oltrepassando ogni limite senza guida e meta
  2. Inghiottito dalla sua monomaniaca disperazione
  3. Questi i due pericoli della navigazione da tener presente per poter conoscere la gioia del ritorno come parte del viaggio e l’esperienza dello straniero che vive la disperazione ed è in grado di raccontarla . (p.83)

B.     UTOPIA LA MORTE DELLA NAVIGAZIONE

Utopia la terra che si cerca? Che succede quando si approda in una terra che si rivela essere solo un’isola? È questa l’agognata terra che cercavamo?

L’altra faccia del pericolo del  mare è la ricerca di un porto sicuro, quieto, sereno, stabile; isole dove è possibile costruire città rassicuranti che viste in profondità si rivelano prigioni

UTOPIA = ou-topos: negazione dell’idea di luogo: l’isola che non c’è

                   Eu-topos: il buon luogo, che diventa prigione, luogo mostruoso

“Così come non è possibile liberarsi di un impedimento, se non lo si guarda in faccia, non è possibile liberarsi dal mostro dell’Utopia se non lo si affronta” (p.86)

“Ogni viaggio, e in particolare il viaggio di chi scopre, trova il suo senso in quanto ci mette continuamente davanti alla domanda su cosa sia quel “diverso” che si incontra e cosa sia quell’identità che noi ci portiamo appresso” (p.88)

è la domanda che non può sfuggire alla conoscenza di sé e al dramma che le appartiene, l’enigma dell’uomo, la sua molteplicità ed estraneità, l’esigenza di armonizzare, amare le mancanze.

UTOPIA di TOMMASO MORO: tutto è pianificato, tutto è svolto correttamente, tutti vivono sotto gli occhi di tutti, in consueto lavoro e onesto riposo. Non è consentito il taglio dei legami con l’isola e di rispondere alla chiamata che dice di andare. L’isola è staccata dalla terra ma perde anche il mare perdendo così anche il rischio.

BACONE (1561-1626) nella “nuova Atlantide” ha immaginato un’Utopia schiava del progresso scientifico, il naufragio interno alla conoscenza sta nel pericolo che la rende assoluta, incapace di conservare  lo spazio per altra conoscenza “estendere i confini del potere umano a ogni cosa possibile”. Prolungare la vita, asportare organi, manipolazione totale della vita, sfruttamento del lavoro delle macchine che garantiscono precisione ed efficacia. La scienza può parlare oltre i confini statuali, una volta che gli scienziati si ritrovano in un linguaggio comune, basato sulla matematizzazione della realtà, e sulla possibilità del calcolo. Non c’è più la scoperta, non c’è più la possibilità del mare, ma la rinuncia a comprendere il “mondo esterno”, per concentrarsi solo sull’esperimento (p.91)

JEREMY BENTHAM la logica di Utopia è la logica del controllo PANOPTICON (onnivedente) tutto è visto e controllato, fissazione dello sguardo, tutti sono spogliati: nudi sotto lo sguardo di chi non li abbandona. Il privato diventa pubblico tutto viene denudato. Non importa se gli abitanti del “non luogo” siano uomini o meno “io voglio che siano felici” (in effetti la natura dell’uomo è nella contraddittorietà, non nella felicità che è lo stato della divinità, dell’assoluto). Una volta che la popolazione si sarà bevuta il farmaco della felicità, che l’uomo sia diventato una macchina è un fatto secondario (p.93)

TOMMASO MORO: Utopia

BACONE: Non luogo in cui si dà forma all’apparato tecnico scientifico

SCHMITT: Utopia con il suo apparato tecnico-scientifico e il nichilismo a cui dà vita è nientenemo che l’Anticristo: l’esperimento con cui l’Anticristo prova il suo dominio planetario (p.94)

Utopia non può permettersi un passato; è la divisione del lavoro; l’efficienza dell’organizzazione; c’è la condivisione; mai la sfida (p.95) l’isola rinuncia ad ogni movimento politico, per consentire il movimento scientifico.

CACCIARI: Utopia nega la storia; è un assoluto ab-solutum, non c’è movimento di liberazione ma scioglimento immediato dei vincoli “Utopia non “naviga”affatto, ma si considera libera a partire dalla sua essenza geografica, localizzando il progetto, il flusso, nei confronti ben definiti di un’isola che vive fuori dalla storia” (p.96) è autoreferenziale, è uno sradicamento dalla storia.

La storia si compie entro limiti; entro situazioni determinate (Hegel) (p.96-97) . La storia della libertà è un affrontare i limiti per liberarsi, non un distaccarsi con un gesto immediato.

Per la filosofia della storia l’uomo, dopo aver affrontato la complessità del mare, trova il luogo che gli è proprio, non certo Utopia.

MARXISMO è la filosofia della storia nel grado più eminente

Chiunque voglia affrontare la filosofia della storia si deve confrontare con esso, Carl Schmitt in quanto avversario oppone al marxismo

la filosofia della storia cattolica: cioè la storia come la possibilità dell’incontro tra la libertà di Dio e la libertà dell’uomo in lotta contro l’azione dell’Anticristo

nella storia convivono sospese tra il tempo e l’eternità

  • Il mare delle differenze del processo storico e
  • L’Evento che dà un senso alla storia

                EVENTO: – che è presente giacché tutto è compiuto

  • ma che è anche futuro/speranza, tempo dell’attesa del compimento nella storia: sulla terra come pellegrini in vista della meta, patria celeste

Nella storia è in opera quella forma che ritarda la fine dei tempi, e solo in quella forma provvisoria è possibile parlare di politica e di storia: in questa concezione la storia risulta il luogo del dramma della libertà: Dio che ci ha creato senza il nostro permesso, non ci salva senza il nostro consenso: “Sto alla porta e busso” (Ap.4)

UTOPIA nega la storia, naufraga perché nega le differenze, è il problema della convivenza tra differenti fedi.In Utopia la tolleranza è : comprensione/assimilazione/negazione delle differenze. L’altro è compreso da una concezione che si ritiene superiore e deve essere “purgato” di quanto c’è in lui di specifico.

Agostino nella “Città di Dio” richiama la conversione degli Ebrei ad opera di Elia. ARESU sottolinea come proprio il richiamo ad Elia per la realizzazione di un unico scopo costituisca l’estremo travisamento di una figura che ha tutt’altro significato

Elia nella tradizione ebraica infatti è colui che richiama la presenza dell’altro, dell’estraneo, dell’alterità, della cura dei margini.

La “Nuova Atlantide” non può accettare margini, stranieri, deve prevenire il contagio, salvaguardare la felicità entro i confini. Non si può stare nell’isola da “stranieri” è necessario essere “compresi” nell’isola.

“La forma dell’isola è perciò quella limitazione che restando entro le stesse limitazioni che la caratterizzano dal principio, vuole però imporre la sua legge a tutto il mondo.” (p.100)

nell’isola non c’è il concetto di AMICIZIA-PHILIA, il riconoscimento dell’altro

In Utopia, in questa struttura “ideale”, non c’è discussione, essa è retta dal dogma.

Come liberarsi dal dogma? Con la logica della traduzione ci dice ARESU. Il traduttore crea un linguaggio altro che attraverso la filologia, amore per la parola, faccia vivere la nostalgia per l’assenza.: BENJAMIN: “fa giocare l’Utopia della traduzione contro la stessa logica di Utopia” (p.103)

La traduzione non appare come un luogo ma come non-luogo. Forse l’unica Utopia davvero possibile dove si tratta di evitare l’assimilazione conservando ciò che è proprio dei vari linguaggi “I linguaggi si trovano in uno spazio d’incontro che conserva le differenze e insieme manifesta la nostalgia per una parola che non può essere ripetuta nella tradizione ma soltanto conservata come gesto, come assenza”.(p.102)


[1] gaieochos: tenere la terra, che tiene cinge la terra, che difende il paese,

ennosigaios: che scuote la terra, epiteti di Nettuno

Nettuno colui che tiene e scuote la terra

[2] Fedone : contenuti : ritratto della filosofia, contegno di Socrate, confronto con la teologia

[3] cos’è il governo di se stessi ? è l’incessante lotta faccia a faccia con la molteplicità e la differenza per giungere a “governarsi” attraverso giustizia. E’ il mito della biga alata narrata nel Fedro, in cui l’anima lotta con se stessa, con la sua costitutiva molteplicità, allo scopo di governarsi per non abbandonare la biga (la nave) e giungere a destinazione.

[4] Pisetero e Evelpide, i due vecchi ateniesi cercano di convincere gli uccelli a recuperare il loro regno, il potere. Il regno può essere recuperato solo imbastendo dei confini, finendola una buona volta con la libertà dei cieli: BISOGNA RECINTARE L’ARIA!