L’esperienza di una tesi di supervisione diretta di terapia familiare.

La fine della formazione rende sorprendentemente evidenti tutti i passi fatti e i cambiamenti conseguiti, pensare ad una terapia familiare quando è già conclusa fa apparire tutto più chiaro, un pensiero alla famiglia che ha voluto incontrarmi, alle sue sofferenze, alle mie preoccupazioni e che ora ha tutti gli strumenti per andare da sola. Come tutti gli incontri che mettono in gioco e possono svelare le nostre difficoltà, i nostri segreti, anche questo per me doveva contenere nel finale una nuova soluzione, una nuova prospettiva. Parlo del “finale” della terapia, della fine del percorso di studi, del sorprendente esame “finale” per diventare psicoterapeuti: il mio percorso di vita ha tutte le caratteristiche ora di un coinvolgimento fatalistico dell’esercizio della mia professione.

Una terapia coinvolge l’intera famiglia e il terapeuta, un’epidemia del sintomo che si “propaga” per esprimere il disagio di tutti, il terapeuta che deve dichiararsi alla famiglia, al gruppo di supervisione……una terapia per tutti, una comunicazione di “amorosi sensi” (Dei Sepolcri, Foscolo), in cui più si è veri, credibili, sinceri, nelle espressioni, nei gesti, più si entra nell’animo dell’altro, del paziente.

L’esperienza che ho riportato nel lavoro di tesi riguarda una terapia familiare con genitori separati che ha difficoltà a gestire l’adolescenza della figlia. Un esempio evidente di come anche in presenza di una separazione la visione terapeutica deve rimanere sistemica e includere tutti i componenti familiari. La famiglia è arrivata in terapia con la richiesta di poter cambiare la figlia, con la speranza che la situazione creata intorno “ai suoi problemi” potesse cambiare, per ritornare alla tranquillità di prima.

A chiamare è Marta, di trentacinque anni, su indicazione di un amico psicologo, separata dal marito Davide, che ne ha trentasette, da quasi cinque anni. Hanno anche un altro figlio Armando, di undici anni. Davide invece ha una nuova compagna, con la quale vive.

Giada non ha regole precise a casa, i genitori non sono uniti nella sua educazione, basti pensare che Davide vive in un’altra casa e forse non conosce alcuni aspetti della vita quotidiana di ex moglie e figlia.

La terapia familiare ha coperto un arco temporale di un anno, con sedute ogni due settimane. Il percorso terapeutico si è articolato in diciotto sedute di cui alcune con l’intera famiglia, altre con la sola coppia genitoriale, un colloquio individuale con la figlia Giada; infine un followup dopo circa cinque mesi.

La famiglia è caratterizzata da una grande unione nell’affrontare le problematiche, ma dalla scarsa definizione dei ruoli e compiti genitoriali, che li pone in un atteggiamento troppo morbido e accondiscendente nei confronti dei figli, e li porta ad avere aspettative troppo elevante rispetto alle condizioni che gli offrono e di fronte alle quali hanno paura di fallire. Inoltre è una famiglia che ha difficoltà ad esprimere i propri sentimenti, le emozioni sottostanti alle scelte fatte, lo scambio è sempre poco affettivo, distaccato, troppo intellettualizzato. Un adolescente che non ha regole, e poi la “Grande Assente”, la separazione dei genitori, solo accennata con distacco emotivo, e da cui però sembrano aver inizio tutto il flusso delle emozioni che è difficile far emergere e che sottendono alla sofferenza e
alla disorganizzazione dell’intera famiglia.

L’ipotesi sul caso ha innanzitutto posto l’attenzione sul problema manifestato dalla famiglia: le difficoltà della figlia adolescente, un profitto scolastico molto basso. Poco dopo lascerà la scuola e i genitori saranno impotenti di fronte a questa scelta, si attiveranno invece per cercarle un lavoro in attesa di iscriverla al tanto desiderato corso di estetista.

Ho sentito subito una grande responsabilità, il peso di dover gestire i problemi adolescenziali, io che ne ho vissuti tanti e che l’unico modo che ho trovato per risolverli è stato allontanarmi da casa, dai miei genitori. Ero agitata, forse non adatta a questo caso, ma la strategia di interessarmi a due questioni importanti come la separazione e i disagi adolescenziali, per poi uscire da essi e trasmettere alla famiglia quanto sia importante poter contare su qualcuno, parlarne, sentirsi sostenuti in qualsiasi momento, percepire l’unità e la disponibilità come risorse, è stata importante per la famiglia e per me. Considerando le problematiche portate in terapia è stato necessario un lavoro che riconoscesse i ruoli di ciascuno e fissasse confini appropriati ed adeguati al passaggio di informazioni sia all’interno della coppia coniugale che genitoriale, aumentare le competenze genitoriali.

Il coinvolgimento di ognuno ha condotto pian piano tutta la famiglia a nuove interazioni: i genitori hanno costruito un fronte genitoriale unico, efficace ed incisivo, in cui si possa coniugare l’aspetto dell’affetto e dell’amore con la fermezza per reggere i continui scontri e le continue contrapposizioni della figlia; la figlia non era più portatrice di problemi, ma una persona con cui rapportarsi e confrontarsi nelle diverse situazioni, su cui anche il figlio più piccolo poteva dire la sua.

Sul piano affettivo si è raggiunto, durante la terapia familiare, un riconoscimento dei sacrifici e delle sofferenze dei genitori, come pure una maggiore fiducia nei figli gratificandoli anche. Non c’è stato un riavvicinamento emotivo dei coniugi, Marta si ritroverà sola a concludere la terapia, l’idillio che la coppia si sforzava di dimostrare cercando una unione continua, anche poco spontanea, è finito, ora entrambi sentono per il bene dei figli di avere anche il diritto di sentire la rabbia e il dispiacere per una storia finita e per un allontanamento, di riconoscere i propri sforzi, e il diritto di fare richieste.

Marta avrà proprio la sensazione che la terapia familiare l’abbia allontanata da Davide e questo le dispiace molto, ma si sente anche più libera nell’educazione dei figli. Rifletto su queste parole e mi convinco che la chiarezza raggiunta in terapia non li ha spaventati ma li ha spinti a migliorarsi, a trovare il coraggio di prendere decisioni anche dure, di vedere con altri occhi.

Guardo ora a questa terapia con gli occhi di una terapeuta che ha più esperienza, è più sicura nelle scelte, sa confrontarsi in maniera più matura, ma sento sul piano emotivo che la confusione, le difficoltà di allora riguardavano la mia storia come figlia e come futura madre. Non c’è mai stato nel corso della terapia familiare il pericolo di una vera e propria collusione, la mia ritrosia di qualche momento e l’attenzione che continuamente mi proponeva il gruppo sul processo, hanno creato il filtro giusto per potermi avvicinare a questa famiglia, per poter spostare e mettere insieme le mie e le loro caratteristiche di figlia e di madre.

La sensazione più chiara che ho oggi è che sicuramente si poteva dire e fare qualcosa in più in questa terapia, ma “bisogna fare le cose innanzitutto per la famiglia”. E ancora nelle parole del mio supervisore ritrovo il senso di collaborazione, l’attenzione costante a ciò che sta succedendo nella relazione, con sguardo alle emozioni e riguardo per la famiglia. Questo ha significato per me il lavoro della scuola di specializzazione. Fare terapia significa intraprendere un cammino per la famiglia e con la famiglia. La famiglia decide di fare una terapia, di iniziare un percorso insieme, il terapeuta gli restituisce la gestione del suo destino.

Domenica Lanna