Coppie e Famiglie di origine
Maurizio Coletti*, Fabiana Alberti**, Enrico Bellucci***, Chiara Patruno****, Angela Viscosi*****[1]
RIASSUNTO. Gli autori descrivono una possibile tecnica da utilizzare nel percorso terapeutico con le coppie. Lo strumento Genogramma Mobile per Coppie (GMC) nasce da un’idea di uno degli autori e dalla sua esperienza clinica sviluppata nel lavoro con le coppie, sia in un contesto pubblico, che in pratica privata. Il GMC trae ispirazione dal genogramma classico e si pone l’obiettivo di approfondire come le famiglie di origine influenzano le dinamiche relazionali della coppia. Gli autori descrivono in maniera accurata lo strumento e forniscono delle linee guida per la sua applicazione, seguite da un’esemplificazione pratica dell’utilizzo dello strumento. Il GMC prende forma su di un tableau di legno ed è completato dall’utilizzo di piccoli personaggi che rappresentano i componenti della famiglia del narratore. La reale innovazione introdotta dal GMC è quella che viene definita dagli autori “la quarta dimensione”,la possibilità di poter letteralmente “metter mano” alla storia delle relazioni familiari, introducendo un livello “pratico” a quello narrativo, già presente nel genogramma classico.
Parole chiave: terapia di coppia; genogramma, relazioni familiari; famiglie di origine; processo terapeutico; Genogramma Mobile per Coppie; GMC.
SUMMARY. The authors describe a technique to be used in the process of treatment with couples. The instrument Mobile Genogram for Couples (MGC), comes from an idea of one of the authors and from his clinical experience working with couples, both in public services as well as in private practice. The MGC is inspired by the classic genogram and aims to investigate how families of origin influence the relational dynamics of the couple. The authors describe accurately the instrument and provide guidelines for its application, together with a clinical exemplification of the use of the instrument. MGC consists of a wooden table and is complemented by the use of small figures representing the family members of the narrator. The real innovation introduced by the MGC is as defined by authors “the fourth dimension”, literally the chance to “put hands into” the story of family relationships, introducing a manual and progressive level to the narrative one, already present in the classic genogram.
Keywords: couple therapy; genogram; family relationships; family of origin; therapeutic process; Mobile Genogram for Couples; MGC.
Introduzione
Il trattamento e l’accompagnamento terapeutico dei problemi coniugali non può fare a meno di confrontarsi con le famiglie di origine (FDO) dei partner. Sia che si tratti di separazione o divorzio, che del tentativo di evitare la chiusura traumatica della relazione, che del tentativo di uscire da uno stallo, da una situazione di tensione, di incomprensioni, distanza, conflitti, l’esplorazione (e, talvolta, l’inclusione reale) delle FDO nel processo di cura è inevitabile.
La dimensione trigenerazionale dell’esplorazione sulle forme in cui i problemi di relazione siano apparsi e successivamente cresciuti per stabilizzarsi nella coppia, ha radici antiche nella teoria e nelle pratiche delle terapie sistemiche e familiari.
A questo proposito, Canevaro (1982) afferma: “Il fondamento teorico consiste nell’intendere i problemi della coppia come emergenti da un contesto trigenerazionale costituito dalla confluenza delle FDO con il proprio stile relazionale”.
Questa affermazione, nella sua semplice e determinata chiarezza, è molto rilevante ed offre spazio per interventi e protocolli differenti, tutti tesi ad esplorare ed utilizzare le FDO come aspetti fondanti sia la costruzione della coppia, sia la sua evoluzione che la sua crisi.
D’altra parte, l’interesse dei terapeuti familiari per le FDO di gruppi familiari e pazienti in trattamento è antico ed appare precocemente nello sviluppo delle teorie e delle tecniche che allargano ai sistemi familiari l’idea del contesto di cura per problemi psichiatrici, psicologici e relazionali.
Di seguito citeremo, senza pretesa di completezza e brevemente, alcuni autori che hanno offerto importanti contributi a questi approcci.
Murray Bowen fu, probabilmente, tra i primi ad occuparsi sistematicamente della dimensione inter e transgenerazionale dei disturbi e delle disfunzionalità individuali. Secondo Bowen, per la crescita e lo sviluppo funzionali è di eccezionale importanza quel passaggio che ha chiamato “differenziazione del sé dalla famiglia”, per cui non ha stabilito un’età determinata e sempre uguale, dando al percorso una dimensione processuale individuale. La conclusione di questo processo è quella che è definita come il raggiungimento dell’Io maturo e consapevole (Bowen, 1979).
Jim Framo,
uno dei pionieri della terapia con le famiglie, utilizzo largamente le famiglie
di origine nel contesto del trattamento. Secondo la sua impostazione, le FDO
potevano incidere in maniera molto positiva sulla terapia, pur non
trasformandosi nell’unica direzione verso la quale far convergere gli
interventi. Framo utilizzò molto largamente l’approccio intergenerazionale,
anche invitando direttamente le FDO nel corso del trattamento familiare (Framo,
1996).
Ivan Boszormenyi-Nagy ha contribuito in maniera massiccia e rilevante all’idea
di una trasmissione trigenerazionale dei modelli relazionali ed alla pratica di
esplorazione delle FDO nel lavoro con le famiglie. Si tratta, come afferma
questo autore, di “tornare per ripartire
meglio”, di “fare un passo indietro
per farne due avanti” (Boszormenyi-Nagy & Spark, 1988).
Maurizio Andolfi definisce “la famiglia trigenerazionale” come “un’entità complessa, piena di contraddizioni e di conflitti, che diventano però elementi di comprensione del suo mondo interno per un osservatore volto a cogliere i nessi impliciti tra comportamenti e vissuti attuali e bisogni insoddisfatti del passato”. L’autore presta grande attenzione alla portata dei miti familiari come fondanti le relazioni che intercorrono tra i membri della famiglia. Infine, “l’approccio trigenerazionale viene definito come uno strumento diagnostico che permette di dare un significato più ampio alle manifestazioni psicopatologiche, riconducendole ad elementi che trascendono le relazioni attuali e affondano le loro radici nelle famiglie originarie di ciascuno” (Andolfi e Cigoli, 2003).
Ritornando ad Alfredo Canevaro ed al suo articolo precedentemente citato sui problemi di coppia,
egli afferma che esistono due tipologie di sistemi familiari: quelli coesivi e quelli dispersivi.
“Per il loro modo di aggrupparsi, i
sistemi familiari sono stati descritti in generale come coesivi o dispersivi, a
seconda che ci siano forze centripete o centrifughe al loro interno.
In una revisione della scarsa letteratura mondiale su questo tema, Kelsey-Smith
e Beavers (1981) segnalano che il concetto centripeto-centrifugo è stato usato
da antropologi come Kroeber (1925), etologi come Wilson (1975) e psicoanalisti
come Erikson (1963), per descrivere un modo di funzionamento senza tenere in
considerazione la salute o la malattia,Minuchin (1974) nel parlare di famiglie
“enmeshed” o “desengaged”. In generale tutti questi autori
definiscono lo stile relazionale della famiglia nucleare senza tenere conto
della famiglia di origine.”
Prosegue l’autore:“Il mio contributo originale su questo tema (Canevaro, op.cit.) è stato quello di studiare la relazione tra le due FDO attraverso l’unione dei loro rappresentanti tramite il vincolo di alleanza, e quello di studiare il campo strutturale, reale o virtuale, formato dall’interazione tra il sistema familiare d’origine e il sistema familiare nucleare”.
Su questa base, possono essere immaginate tre tipologie di incontri tra partner:
- Ambedue vengono da famiglie d’origine disimpegnate
- Ambedue vengono da due famiglie d’origine invischiate
- Uno dei partner viene da una famiglia d’origine disimpegnata, l’altro da una famiglia invischiata.
Non è questo il contesto per approfondire come e quando ognuna delle opzioni può entrare in crisi e provocare problemi di relazione tra i partner. Si ricorderà solo che nessuna delle tre possibilità è, di per sé, portatrice di problemi, intrinsecamente patogena; una crisi coniugale è il risultato di numerosi fattori o co-fattori, alcuni con origine nella relazione stessa, altri nel percorso individuale di ciascuno dei partner, altri ancora nel contesto del sistema familiare più allargato (i figli, le FDO). Altri, infine, possono essere identificati in eventi paranormativi differenti (malattie, lutti, problemi economici, lavorativi).
Ma (e qui è il principale focus del nostro contributo che proviene dalla clinica con le coppie, oltre che dalla ricerca sulle relazioni di coppia) è decisivo chiedersi come si possa utilizzare nel percorso di trattamento tutto il portato dell’approccio trigenerazionale.
Come, cioè, rendere utile l’insieme delle informazioni raccolte ed in che modo procedere alla raccolta stessa.
È noto che il trattamento sulle problematiche della coppia può essere realizzato attraverso molteplici approcci e con strumenti diverse. Schematizzando, forse, eccessivamente sono due le modalità di intervento
Il primo degli approcci si basa sull’elaborazione di consigli, suggerimenti (prescrizioni, appunto) che hanno come obiettivo quello di interferire con le modalità considerate disfunzionali, patologiche; il fine è quello di “sostituire” le modalità disfunzionali con forme di interazione che si spera possano essere più “sane”, più efficaci, meno disfunzionali. Oppure, quello di introdurre modalità nuove che, in quanto tali, permettano ai partner di sperimentarsi in situazioni che facilitino l’abbandono progressivo e spontaneo di atteggiamenti e dimensioni relazionali che sembrano alla base di disagio e sofferenza nella coppia.
Il secondo approccio tenta di interferire (o, comunque, di misurarsi) con le dinamiche identificate come fonti del disagio e delle difficoltà attraverso l’offerta di cornici di significato e di ricostruzioni che possano far sorgere nei partner nuovi punti di vista, nuovi vissuti e sentimenti; questi vissuti e sentimenti permetterebbero di contrastare quelli che sembrano alla radice delle difficoltà della relazione.
Nel lavoro con le coppie si può affermare che, sia che si utilizzi un approccio più “prescrittivo” che uno più “interpretativo” o “ridefinitorio”, questi non si escludono a vicenda e possono essere utilizzati dagli stessi terapeuti o nelle stesse situazioni di coppia in terapia o in consulenza.
Sia che si cerchi un’indicazione per comportamenti differenti, che una traccia per costruire una ridefinizione, le FDO sono un terreno importante di analisi e di ricerca. E la ricostruzione di vissuti e sentimenti che ognuno dei due partner si porta dalla sua famiglia di origine è di tale importanza anche perché permette, in sé, di allontanare le tensioni del momento e di cercare di capirne alcune origini lontane.
Esistono numerosi e variegati metodi per lavorare sulle FDO nel corso di una terapia o consulenza di coppia che sia svolta nei servizi pubblci o in pratica privata.
Cosi come esistono molte varianti di lavoro con la FDO in terapia familiare; sia nel caso delle terapie per problemi specifici (disturbi del comportamento alimentare, consumi di sostanze, psicosi, problemi con adolescenti e giovani adulti), sia quando il coinvolgimento della famiglia è considerato in generale opportuno ed utile; ciò vale soprattutto nel lavoro integrato effettuato nei servizi pubblici.
Tornando al lavoro con le coppie, è indubbia la forza dell’affermazione secondo la quale i partner hanno portato nella coppia in costruzione tutto quanto hanno vissuto – in positivo ed in negativo – nelle proprie famiglie di origine.
Ma come far rivivere racconti, emozioni, eventi e processi nella terapia?
Anche qui, i modelli posso essere differenti.
Si va dal libero racconto di aspetti specifici o di fasi particolari che ciascuno dei partner può avere vissuto, al genogramma disegnato su un foglio di dimensioni variabili (normalmente, è consigliato un foglio mobile di grandi dimensioni), alle sculture della coppia e delle FDO dei partner della coppia.
Nel genogramma disegnato, la resa della storia della FDO può essere aiutata da norme grafiche (figure geometriche, rette o linee di varie dimensioni e caratteristiche; ogni membro presentato nel genogramma è solitamente accompagnato dal nome e dall’anno di nascita) che sono state più volte proposte in studi e volumi dedicati al genogramma. In questo aspetto, è importante citare Monica McGoldrick che ha ampiamente utilizzato e descritto questo metodo come un intervento, allo stesso tempo, che diviene fonte di informazione ed intervento terapeutico sulla famiglia (McGoldrick et al., 2008).
Il disegno del genogramma su un foglio, tuttavia, resta statico. Uno degli autori di questo articolo ha, pertanto, messo a punto un’altra tecnica per lavorare sulle FDO nel corso di una terapia di coppia o di un percorso di consulenza, in modo da essere utilizzata nel lavoro con i partner (non con l’intera famiglia, anche GMC è stato utilizzato in terapie che coinvolgono l’intera famiglia. In questo lavoro si riferisce solo all’utilizzo nella terapia di coppia).
La scultura utilizzata nelle terapie di coppia non ha necessariamente in sé valore di esplorazione “oggettiva” delle FDO. È, invece, un metodo molto efficace per costruire diverse immagini della relazione di coppia usando le parole e le storie in modo creativo e mobile. Tuttavia, le sculture nel lavoro di coppia hanno un indubitabile potenziale per richiamare storia e dimensioni relazionali delle FDO dei partner. In questo senso, sono stati pionieri Philippe Caillé (2007) e Luigi Onnis (2012).
Gli autori di questo articolo, a partire dall’esperienza clinica con le coppie, hanno cercato di mettere a fuoco un metodo che fosse utile sia per coprire l’esigenza dell’assessment delle relazioni di coppia (per quello che riguarda l’influenza delle FDO), sia per permettere ai partner un processo efficace di presa di coscienza ed elaborazione delle influenze delle FDO di ciascuno nella costituzione, nella costruzione e nell’evoluzione del rapporto di coppia.
L’esigenza è stata quella di proporre una modalità organizzata e basata su un protocollo di base che riuscisse a rendere la storia delle FDO dei partner la più viva possibile, modulabile, e partecipata.
Si voleva rendere ciascun racconto ricco di elementi che dessero l’idea della dimensione temporale delle relazioni tra i membri della FDO, delle modificazioni dei rapporti che si producono nelle diverse fasi del ciclo vitale della famiglia, che rendessero “plasticamente” ed evolutivamente l’idea di vicinanza – lontananza, alleanza – conflitto, centralità – perifericità.
Allo stesso tempo, è sembrato necessario pensare ad uno strumento clinico che potesse essere utilizzato dai terapeuti in una versione agile sia in un contesto di servizi pubblici ambulatoriali (o, comunque, in processi di trattamento nei servizi pubblici che includono un percorso dedicato alla coppia coniugale), sia in un contesto di pratica privata.
Da un’idea iniziale definita durante un workshop, è così nato “Il Genogramma Mobile per Coppie” (GMC).
Obiettivi dell’uso dello strumento GMC
L’uso del GMC nella terapia di coppia, secondo gli autori, si caratterizza dai seguenti obiettivi generali:
- Mettere in luce la portata dell’eredità che possono essere considerate soggettivamente come provenienti dalle famiglie di origine nella costruzione della coppia.
- Permettere alla coppia di identificare risorse e criticità che provengono dalle FDO.
Obiettivi specifici:
Narrare la propria storia, attraverso l’uso dello strumento, permette:
- al paziente di essere narratore, costruttore e osservatore della sua famiglia;
- al partner di ascoltare, osservare e attribuire un nuovo significato alle modalità relazionali presenti nella FDO dell’altro;
- al terapeuta di ascoltare, osservare e restituire ai pazienti l’integrazione dei due livelli precedenti attraverso la cornice epistemologica di riferimento.
Approfondire il punto di vista degli osservatori nelle varie fasi:
- Permette, nella seduta conclusiva, alla coppia posta di fronte al tableau, di visualizzare la trama delle connessioni, dei nodi e delle fratture della loro relazione.
- Permette al paziente, attraverso l’utilizzo dei personaggi che lo strumento gli mette a disposizione, di proiettare e co-costruire attraverso la manipolazione, all’interno dello spazio del tableau, la fotografia delle relazioni che hanno caratterizzato la sua storia.
Descrizione dello strumento
Lo strumento, come già affermato, trae ispirazione dall’uso del genogramma (Montagnano e Pazzagli, 2012).
Come noto, il genogramma, all’interno di un percorso terapeutico di coppia, si pone l’obiettivo di approfondire come le famiglie di origine influenzano le dinamiche relazionali della diade, la coppia infatti è costituita dal bagaglio culturale, storico ed emotivo che i due partner hanno ereditato dalle famiglie di origine.
Il GMC prende forma su di un tableau di legno, intorno al quale prendono vita i protagonisti del genogramma. Il tableau è di forma quadrata, suddivisa in due spazi, rappresentanti rispettivamente lo spazio familiare e lo spazio esterno alla famiglia.
Il tableau è completato dall’utilizzo di piccoli personaggi in legno che rappresentano i componenti della famiglia del narratore, diversi per dimensioni (piccolo,medio e grande), genere (maschio,femmina) e colore (giallo,verde,blu e rosso).
La scelta della dimensione dei personaggi può essere guidata da un criterio di tipo anagrafico o da un criterio basato sulla rilevanza che la persona in questione ha avuto nella vita del narratore.
Ogni set messo a disposizione a ciascun membro dalla coppia è costituito, inoltre, da piccoli oggetti in legno di forma cilindrica, utilizzati per rappresentare una situazione particolarmente problematica, o eventi paranormativi rilevanti nella narrazione (divorzio, migrazione, lutto, disoccupazione, istituzionalizzazione etc..). Nel caso di lutto si chiederà al paziente di disporre il personaggio in orizzontale sul tableau, lasciandolo nella medesima posizione nella quale si trovava inizialmente.
L’utilizzo dello strumento si articola normalmente su tre incontri della durata di novanta minuti circa, le tre sedute sono necessarie al fine di dedicare spazio al racconto della storia familiare di ambedue i partner, e infine, in terza seduta, alla restituzione organizzata attorno ai punti che il terapeuta ha sentito come più rilevanti all’interno dei due racconti.
Al fine di ottenere il massimo grado di efficacia dallo strumento, è consigliabile presentarlo alla coppia in una fase della terapia in cui il livello di conflittualità sia diminuito ragionevolmente rispetto alle prime sedute.
Prima di iniziare si chiede alla coppia se è disponibile ad esplorare gli aspetti relativi alle loro FDA; tale richiesta comporta una momentanea interruzione dei temi inerenti l’attualità della coppia, al fine di esplorare, nei tre incontri previsti dal protocollo, quella che viene comunemente definita l’eredità familiare. Durante la prima seduta, il terapeuta presenta il GMC alla coppia, mostrando loro le parti che compongono lo strumento. Il terapeuta chiede a ciascuno dei partner di astenersi dall’intervenire in alcun modo durante il racconto familiare dell’altro.
Viene data ai pazienti la possibilità di scegliere chi sarà il primo ad iniziare la narrazione ed il set di personaggi che preferisce. Ecco un esempio tratto, letteralmente, dalla presentazione ed introduzione del GMC in una coppia in terapia:
“Come vi avevo anticipato, oggi sarà la prima delle tre sedute dedicate all’utilizzo del GMC. Come potete vedere abbiamo davanti a noi due tableau identici e due set di personaggi di legno diversi per colori, dimensioni e genere.
Il tableau rappresenta lo spazio familiare, all’interno del quale collocherete i personaggi di legno rappresentanti i membri della vostra famiglia di origine. Il posizionamento dei personaggi, è indicativo del tipo di relazione esistente tra di loro.
Come potete ulteriormente vedere, il tableau è suddiviso in due aree; la parte centrale rappresenta, come anticipato, lo spazio della famiglia, qui andranno collocate le persone che hanno giocato un ruolo importante nella storia della sua famiglia; la parte esterna, può essere utilizzata per eventuali altri parenti o, persone che hanno ricoperto un ruolo rilevante nella vita del narratore.
Come nella vita, così anche nel tableau, le dinamiche relazionali tra le persone si evolvono, passando attraverso fasi di vicinanza, conflitto e riavvicinamento; sentitevi, quindi, liberi di modificare la posizione dei personaggi durante la narrazione in virtù di tali cambiamenti.
Prima di cominciare chiedo a chi si trova nella posizione di ascoltatore di non intervenire durante la narrazione del partner.”
Come previsto dal genogramma classico, la narrazione si sviluppa a partire dalla terza generazione (quindi dai nonni), tuttavia il protocollo non prevede che i nonni della persona narrante siano posizionati all’interno del tableau a meno che non abbiano avuto un ruolo rilevante nella vita del narratore. Lo stesso vale per eventuali altri parenti o persone importanti.
Elemento caratterizzante dello strumento è la possibilità data al narratore di intervenire, durante il racconto, cambiando, a seconda dell’evoluzione della storia narrata, la posizione dei personaggi sul tableau. Tali spostamenti servono ad indicare eventuali cambiamenti all’interno delle dinamiche relazionali presenti nella famiglia.
Durante il racconto il terapeuta invita il narratore a posizionare sulla tavole i personaggi rappresentanti, padre, madre, fratelli o sorelle, ed eventuali altre figure significative, così come appaiono nella sequenza narrativa.
Il terapeuta sollecita, inoltre, il narratore ad utilizzare lo spazio presente sul tableau, avvicinando o allontanando i personaggi a seconda del tipo di legame esistente tra gli stessi; tali spostamenti saranno possibili durante tutto l’arco della narrazione in considerazione delle eventuali evoluzioni che le relazioni assumono nel tempo.
Al termine di ognuna delle due sedute il terapeuta provvederà a fotografare il tableau in modo tale da poterli riprodurre entrambi nella terza ed ultima seduta. Tale seduta è dedicata alla restituzione, durante la quale il terapeuta farà in modo di disporre ambedue i tableau nella stessa esatta posizione in cui erano stati lasciati dai pazienti nelle sedute dedicate ai loro racconti. In questo modo si offre loro una rilettura che comprende le criticità ed i punti di forza che entrambi i partner hanno ereditato dalla loro famiglia di origine. Tutto questo permette di ridefinire la cornice terapeutica, alla luce della nuova epistemologia co-costruita tramite il protocollo (Tab. 1).
Le mani nella storia
Il genogramma classico si sviluppa attraverso tre dimensioni che comprendono la fase narrativa, durante la quale il paziente ripercorre la sua storia familiare; la fase di ascolto attivo, durante la quale il terapeuta ascolta e prende nota degli eventi significativi che si prestano maggiormente ad essere riletti; la fase restitutiva durante la quale vengono messe in luce le risorse e le criticità sulle quali impostare l’intervento terapeutico.
La reale innovazione che, a nostro parere, viene introdotta con l’utilizzo del GMC è quella che abbiamo chiamato quarta dimensione.
Nello specifico, tramite l’utilizzo dello strumento, si ha la possibilità di poter letteralmente “metter mano” alla storia delle proprie relazioni familiari, introducendo un livello pratico a quello narrativo, già presente nel genogramma classico. La dimensione “manipolativa”/pratica di quest’approccio al genogramma è utile tanto al paziente che vede reificato sul tableau quello che sta raccontando, con la possibilità di aggiustare in corso d’opera qualcosa che ha detto e di sistemarlo ed anche cambiarlo, seguendo le fasi di sviluppo della sua FDA; permettendo così, nella rappresentazione del tableau, di cambiare ciò di cui non è interamente convinto, di assumere un’altra prospettiva; quanto al terapeuta che ha la possibilità di osservare oltre che di ascoltare quello di cui sta parlando il paziente. In questo modo, può far domande per chiarire meglio eventuali angoli bui o comunque far notare discrepanze tra il piano narrativo e quello rappresentativo. Attingere ad un’altra dimensione, permette al terapeuta di trarre delle considerazioni più calzanti, di lavorare per immagini, che sono presenti tanto agli occhi suoi, quanto a quelli del paziente.
La quarta dimensione contribuisce in tal senso alla messa in scena della storia del paziente, considerato nello stesso tempo attore, regista e spettatore della narrazione. Inoltre la co-costruzione di questo quarto livello permette di ovviare alcuni rischi: da una parte, infatti, il paziente potrebbe raccontare la propria storia così come se l’è sempre raccontata, perdendosi all’interno di un sentiero fatto di significati disfunzionali che conosce da tempo, dall’altra il terapeuta che si trova nella situazione di dover “decifrare” ed interpretare la storia appena ascoltata, rischia, rileggendola, di proiettare all’interno della storia fin troppi elementi autoreferenziali.
Infine, è nostro parere che l’esperienza ludica inevitabilmente evocata nell’immaginario delle persone durante l’utilizzo del GMC, possa contribuire a far rilassare il paziente permettendogli di “giocare” con la propria storia, rendendo l’esperienza sicuramente più dolce e allo stesso tempo più viva ai suoi occhi.
Esemplificazione pratica dell’utilizzo dello strumento GMC
La coppia che tratteremo è composta da R. e S., rispettivamente 43 e 45 anni, R. di origini peruviane e S. romane. Somministriamo loro il protocollo dopo cinque incontri, durante i quali abbiamo potuto apprezzare delle significative diminuzioni dei livelli di tensione all’interno della coppia.
Dopo aver presentato lo strumento facciamo scegliere loro chi deve essere il primo. Decide di cominciare S.
La storia di S.
S. è il primo di due figli, ha una sorella più piccola di lui di qualche anno.
Quando il racconto inizia S. dispone sul tableau i protagonisti della sua storia.
Inizia il suo racconto partendo dai nonni paterni, con cui ha avuto un rapporto più stretto rispetto a quelli materni. Il nonno era un operaio mentre la nonna era una casalinga. In particolar modo, la nonna ha rappresentato per S. un’importante figura di riferimento, descritta come una persona accogliente e responsabile. Da piccolo passava molto tempo con lei, ed è stato in questo periodo che le ha trasmesso il suo amore per la cucina.
Contestualmente al racconto S. posiziona il personaggio che lo rappresenta molto vicino alla nonna.
Per lui la famiglia veniva gestita da quest’ultima che aveva in mano le redini di tutto.
“Mia nonna mi ha
insegnato che l’amore per la cucina è in realtà amore per gli altri. Infatti
cucinando per le persone che si amano ci si prende cura di loro nella maniera
più importante.
Cucinare è amare.”
Non ha avuto rapporti con i nonni materni, poco presenti anche nella vita della madre. S. ricorda un’infanzia molto bella tra la famiglia e casa dei nonni, dove andava spesso a mangiare dopo scuola, il racconto che fluisce permette quasi di sentire i profumi che c’erano in casa, di poter immaginare la pasta fatta in casa stesa su tutti i letti; ci regala anche l’immagine di lui e la nonna che danzano insieme. Perché S. ci tiene a precisare che la nonna gli ha insegnato due cose: il dare agli altri e danzare. L’ultimo walzer della sua vita lo ha ballato con la moglie, il giorno del matrimonio (mentre lo racconta, si commuove e fa una carezza alla moglie).
Durante l’adolescenza iniziano gli scontri con il padre, che pur non essendo presente, voleva limitarlo in alcune attività che potevano essere pericolose. S. ci racconta che il padre ha condotto sempre una vita al limite tra la legalità e l’illegalità, motivo per cui a casa i soldi non sono mai mancati, per quanto fossero frutto di attività illecite. Per questo motivo è stato in carcere due volte.
La perifericità del padre prende vita sul tableau, il personaggio viene infatti posizionato al lato opposto della madre e della sorella ma non troppo lontano da lui. Prendendo spunto dal movimento sul tableau approfondiamo il rapporto di S. con il padre ed emerge il conflitto interiore tra la sua voglia di somigliare al lato intraprendente del padre, e il suo desiderio di differenziazione da quello che era, invece, un lato più oscuro.
Il padre per lavoro sta fuori molto tempo e lui durante le scuole superiori grazie ad una vacanza-studio passa dei mesi con i butteri. Andare a cavallo lo appassiona molto e anche in seguito trascorre molto tempo alle scuderie. Come per molte delle attività che ha svolto nella sua vita, S. ci racconta di avere del talento e di riuscire molto bene in tutto quello in cui si impegna. Nel racconto di S. è stato dedicato molto spazio alla nonna ed alle peculiarità negative e positive del padre. Se da una parte infatti S. critica il padre per i traffici che portava avanti, dall’altra si percepisce l’ammirazione per un uomo che, come del resto è lui, sa far bene molte cose ed ha un carisma particolare con cui sa farsi benvolere dagli altri.
La figura della mamma rimane apparentemente sullo sfondo, ma ad una lettura più attenta, dal racconto emerge la figura di una donna forte, fonte di sicurezza per i figli, che con la sua solidità è riuscita a portare avanti una famiglia praticamente da sola. È stato grazie a lei se sono riusciti a mantenere un certo equilibrio.
La storia di R.
R. è originaria del Perù, si trasferisce in Italia che è ancora un’adolescente. Sino a quell’età è vissuta a Lima con la sua famiglia, composta da lei e cinque fratelli.
Quando il racconto inizia S. dispone sul tableau i protagonisti della sua storia.
La famiglia del papà veniva dalla provincia e poi si era spostata a Lima mentre la mamma era nata a Cusco.
Il nonno paterno muore molto giovane in un incidente, e sua madre, che era la figlia più grande, si è presa cura di tutti i fratelli. Dice che la madre ha dovuto bruciare tutte le tappe della sua vita per prendersi cura degli altri.
In seguito la famiglia della mamma è costretta a spostarsi a Lima, qui subentrano tutta una serie di problemi linguistici e culturali. La madre non conosceva né parlava il quechua, adattarsi per lei è stato molto difficile, per motivi anche economici, così viene costretta dalla famiglia a sposare il marito (suo padre) all’età di 16 anni.
Il padre era un uomo a cui piaceva vivere le feste e la società (“parrandero” nella loro lingua), molto impegnato politicamente, nella lotta comunista operaia. Era un chimico ma era trattato al pari di un operaio, per cui anche le condizioni economiche della famiglia non erano molto buone. Quindi, anche in questo caso, la madre continua a prendersi cura della sua famiglia composta di 6 figli dei quali R. è la penultima da sola.
Nel parlare della mamma R. la descrive come una persona combattiva, impegnata nel sociale, nonostante i lavori che faceva. La madre per sopperire all’assenza del padre si rapportava ai figli con durezza, per ottenere il rispetto, e le veniva difficile differenziare questo comportamento con R. che era l’unica femmina.
R. ci descrive un’infanzia difficile, dove veniva picchiata, insieme ai due fratelli più piccoli, D. e G.. USARE UN’ALTRA INIZALE, dai fratelli più grandi.
Per lei il fratello che ha sofferto di più è stato D., era molto irrequieto e non è stato mai seguito, voleva sentirsi libero e quando il rapporto tra loro diventa più intenso lo perde a causa di un incidente stradale. Questo è stato difficile da affrontare per R. che vive un periodo di depressione dopo la sua perdita.
R. che fino a quel momento era riuscita a mantenere una certa calma nel racconto, quando mette giù il personaggio del fratello per simbolizzare la sua morte scoppia in un pianto dirotto.
Al termine delle scuole medie, la famiglia dove faceva la baby-sitter nel periodo estivo le propone di spostarsi in Italia con loro. Fu soprattutto grazie all’appoggio del padre che R. poté cogliere quest’importante occasione.
R. resta in Italia per due anni dove riesce ad ambientarsi bene, sino a quando giunge per lei il momento di tornare a casa. Nel frattempo il padre si era avvicinato molto alla famiglia, secondo lei la morte del fratello e la sua partenza l’avevano portato a dare più valore al rapporto con i figli e la moglie, due lutti da elaborare d’altronde non erano pochi.
In questo momento del racconto R. modifica la posizione del padre rispetto alla famiglia avvicinandolo significativamente a lei e ai suoi fratelli.
Quando R. rientra, si rende conto che per lei tutto era cambiato, non riusciva a sostenere le pressioni dei fratelli e della famiglia, aveva bisogno dei suoi spazi e della sua autonomia, così decide di tornare in Italia.
A questo punto è il padre, che nel frattempo si era ammalato, ad esprimere il desiderio di andarla a trovare ma lei si oppone perché sa che è molto debole, la famiglia la rassicura dicendo che è stato il medico a dare l’ok per il viaggio.
Dopo pochi giorni dal suo arrivo in Italia, il padre esce a fare una passeggiata e viene colto da un malore, in seguito al quale muore. Questo è stato un momento difficilissimo per lei, non sapeva come dirlo ai familiari e come far rientrare la salma. Si è dovuta indebitare e con l’aiuto degli amici ci è riuscita. Il papà muore a 70 anni, in Italia da R., dopo aver passato gli ultimi anni della sua vita a riscattarsi come padre, come marito e come abitante del quartiere.
Quando R. rientra in Italia, dopo pochi mesi conosce S., che frequentava anche lui gruppi di stranieri perché interessato alla loro cultura. Dopo un breve periodo di frequentazione le chiede di sposarlo.
Dopo un anno R. rientra in Perù perché vuole essere sicura di prendere la decisione giusta, perché sentiva che tra lei e S. c’erano molte differenze dal punto di vista culturale. Dopo alcune insistenze della mamma decide di sposarsi.
“Ogni mio viaggio tra l’Italia ed il Perù ha portato grandi cambiamenti”
Restituzione
R. e S. entrando in stanza, hanno modo di vedere i due tableau raffiguranti le loro famiglie, disposti l’uno accanto all’altro (Figg. 4-5).
Danzando tra le sfoglie
Dalla sua famiglia S. eredita la forza ed il desiderio di essere sempre in sfida con sé stesso, ma anche l’importanza di fare cose speciali per le persone che si amano, perché amare qualcuno è prendersene cura.
Questo gli ha permesso di fare quel passo evolutivo in più che l’ha portato a decentrarsi.
Proprio dalla nonna riporta un legame affettivo importante, ricorda come ha imparato a cucinare ed a danzare. La nonna getta le radici dello stare con gli altri, perché non si balla da soli, e la vita è come una danza in cui ci si prende cura degli altri, facendo cose speciali per loro.
Tramite le esperienze vissute con la sua famiglia di origine ha capito che si perdono tante dimensioni, ma si prende anche; e se la vita è una danza, bisogna stare attenti su chi la guida per non ricadere nell’antico errore, per non correre il rischio di ballare da soli.
Poiché lui sa danzare e conosce l’importanza di prendersi cura degli altri, lo invitiamo a darsi di più con i suoi figli (lo sguardo è diretto verso il maschio) e con sua moglie, condividendo con loro un pizzico di quella magia profumata di amore e sfoglie di pasta all’uovo appena stese.
Nessun luogo è lontano
Restituiamo a R. il fatto di aver imparato cosa è il sacrificio da quando era molto piccola, si definisce ragazza all’età di 7 anni, ma da quel sacrificio trae le risorse, diventa sempre più forte ed impara a sopportare grandi carichi. Se questo è quello che eredita da mamma, dal papà prende il desiderio di libertà, l’essere aperta al cambiamento, la lotta per i propri ideali.
Il viaggio nella sua vita torna sempre, ogni viaggio porta con sé grandi cambiamenti, fino a quando il Perù la raggiunge in Italia, con l’arrivo dei suoi che prendono atto del cambiamento della figlia e della sua crescita, si chiude un cerchio, con lei che fa da guida ai suoi genitori mostrandogli i luoghi della sua crescita e mostrando loro quanto in fondo in fondo nessun luogo sia lontano.
Attualmente, in R. la parte più in ombra è quella di papà; mentre quella di mamma è più viva. Quindi, può correre il rischio di passare come quella che si fa in quattro per gli altri ma non prende mai in mano le redini della situazione sentendosi vittima degli eventi.
È importante che lei riscopra il grande valore di queste due istanze che porta dentro di sé perché, insieme alla cultura del suo paese, sono la sua vera forza.
Riflessioni sullo strumento applicato al caso concreto
L’aver lavorato sulle storie familiari dei pazienti utilizzando lo strumento in questione ha permesso tanto ai terapeuti quanto ai pazienti di cogliere più elementi in termini di lontananza/vicinanza nei rapporti familiari, permettendo di esperire in maniera diretta, tramite l’utilizzo dei personaggi, le emozioni legate al loro vissuto. In relazione alla storia di R., ad esempio, ci ha colpito molto la reazione di dolore, che fino a quel momento R. aveva tenuto per sè, che si è palesata con veemenza nel momento in cui ha posto il personaggio raffigurante il fratello minore in posizione orizzontale.
Questo è ciò che abbiamo definito come quarta dimensione.
Conclusioni
Lo strumento GMC risulta di applicazione semplice ed efficace nella terapia di coppia, essendo la sua finalità più rilevante quella di introdurre in una forma dinamica e semplice la storia delle Famiglie di Origine dei partner come aspetto fondante della costituzione e della costruzione della coppia coniugale e come terreno di ricerca e messa a fuoco degli eventi, delle abitudini, delle aspettative, dei ruoli svolti nel passato e che hanno un rilevante valore nella creazione delle difficoltà tra i partner.
GMC è stato utilizzato sia in contesti di trattamento di coppie in un contesto privato, sia in trattamento, mediazione, consulenza di coppia effettuati in servizi pubblici. Non si sono rilevate differenze di alcun genere nell’utilizzo all’interno dei due differenti contesti. Nel contesto dei servizi pubblici (si tratta di due consultori familiari), anzi, i pazienti hanno espresso maggiore curiosità ed interesse per l’offerta del percorso GMC. Di fatto, quindi, sembra assolutamente possibile e praticabile l’uso sistematico di GMC (quando ricorrano i criteri presentati in precedenza) nel lavoro con le coppie effettuato nei servizi pubblici.
I pazienti che vi si sono sottoposti hanno espresso tutti interesse, partecipazione e curiosità. Fino al momento dell’estensione di questo articolo, le coppie a cui è stato sottoposto il GMC risultano 43; in nessun caso la proposta è stata rifiutata dai pazienti. L’utilizzo di GMC è avvenuto in tempi differenti: tra la quarta e la sesta seduta, tranne in due casi. In uno di questi, GMC è stato utilizzato nella seduta numero dieci (di ventuno in totale); nell’altro, GMC è stato proposto al termine di un percorso di ventitre sedute, con un accento differente: come, appunto, conclusione di un percorso durante il quale è stata più volte richiamata l’importanza delle FDO nella storia della coppia. I 43 percorsi di terapia di coppia hanno avuto esiti e durate differenti. Ciò mostra che GMC è uno strumento utile ed opportuno, ma non è certamente da solo in grado di determinare o anche di spiegare l’andamento di una terapia di coppia.
La storia familiare di ognuno dei due partner è stata sempre accompagnata da partecipazione emozionale, commozione e forte coinvolgimento, tranne che in tre casi nei quali uno dei partner ha raccontato la sua FDO senza particolare (apparente) partecipazione emotiva. Anche l’ascolto del partner che non racconta è partecipato; pur conoscendo gli elementi del racconto, il fatto di ascoltarli in un contesto ed in una dimensione nuova crea interesse. Molte coppie raccontano che dopo le sedute si sono trovati a parlare e discutere di quanto esposto da ciascuno di loro.
Lo strumento è flessibile ed il suo utilizzo può essere posposto od anticipato nel processo terapeutico senza grandi difficoltà, pur restando l’optimum il suo inserimento nella prima parte del percorso; come già detto dopo le prime tre o quattro sedute, una volta che si ritiene sia stata costruita un’alleanza terapeutica e messo a fuoco i principali elementi critici riportati dai partner.
La richiesta di creare un intervallo di tre sedute nel quale non si parlerà delle criticità quotidiane, delle tensioni storiche e delle abituali situazioni di stallo nella coppia, lungi dal far accumulare elementi di scontro, sembra produrre un’esperienza nella quale è possibile ascoltare e raccontare, alla ricerca di quegli aspetti della propria storia personale considerabili come altrettanti elementi della costruzione del rapporto di coppia senza per forza confrontarsi attraverso scontri, accuse ed altri elementi drammatici.
Il protocollo messo a punto e sviluppato per la gestione dello strumento è chiaro e di semplice attuazione. La restituzione si presenta come un vero e proprio intervento terapeutico che, allo stesso tempo, riduce la portata delle colpe di ciascuno, attribuendo aspetti decisivi alle dimensioni problematiche alle storie familiari anziché ai singoli individui ed alle loro consapevoli scelte. Durante la restituzione, sono riportati momenti di intensa partecipazione e di richieste di approfondimento, mentre sono stati molto scarsi i casi in cui uno od ambedue i partner si dichiarano in disaccordo con le osservazioni dei terapeuti.
Si riporta, inoltre, una dimensione di utilità dei dati e delle informazioni raccolti durante le tre sedute nel prosieguo della terapia. È stato frequente il riferirsi alle indicazioni contenute nelle storie e nelle restituzioni anche nelle fasi successive, sia da parte dei terapeuti, che dei pazienti. In questo senso, la restituzione nella terza seduta del protocollo si configura come un intervento terapeutico intenso e focalizzato, rispondendo alla domanda su quali aspetti delle rispettive famiglie di origine siano stati, in qualche forma, all’origine delle difficoltà della coppia.
Per la sua utilizzazione, il GMC richiede (a parte il set dei personaggi e della base) un training molto breve, della durata di dodici ore.
In definitiva, GMC si presenta come strumento semplice ed efficace, basato su aspetti teorici e teorico clinici chiari e condivisi universalmente.
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[1] * Psicologo, Presidente e Didatta dell’Istituto Europeo di Formazione e Consulenza Sistemica. coletti@iefcos.it
** Psicologa clinica, Istituto Europeo di Formazione e Consulenza Sistemica fabianaalberti@hotmail.it
*** Psicologo e psicoterapeuta sistemico-relazionale. PhD in Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni. Svolge la libera professione a Roma. enricomaria.bellucci@gmail.com
****Psicologa clinica, PhD Dipartimento di Psicologia Dinamica e clinica, Università “LA Sapienza”di Roma. chiara.patruno@libero.it
***** Psicologa, esperta in psicodiagnosi Rorschach, Istituto Europeo di Formazione e Consulenza Sistemica. angelaviscosi@gmail.com