Vincenzo Di Nicola
Vincenzo Di Nicola, psicologo, neuropsichiatra infantile e filosofo, è professor titolare di psichiatria all’Università di Montreal e alla George Washington University.
È fondatore e presidente della Canadian Association of Social Psychiatry e
presidente eletto della World Association of Social Psychiatry. È autore di A Stranger in the Family: Culture, Families, and Therapy (1997) e Letters to a Young Therapist (2011). Il suo prossimo libro è Psychiatry in Crisis: At the Crossroads of Social Science, the Humanities and Neuroscience (2020), scritto in collaborazione con D.S. Stoyanov.
Traduzione italiana a cura di Maurizio Coletti.

ABSTRACT

This philosophical essay introduces Slow Thought as part of the Slow Movement (Honoré, 2004) which began in Italy in 1986 with the Slow Food protest (Petrini & Padovani, 2017). The author, a psychologist, psychiatrist and philosopher, proposes seven pillars of a Slow Thought Manifesto. Slow Thought is: (1) peripatetic, dialogic, and face-to-face (reflecting the work of Socrates; Bakhtin, 1983; and Levinas, 2000); (2) its own time and place; (3) sui generis, not other-oriented (Agamben’s vivere vitam); (4) porous, open (Benjamin & Lacis, 2007); (5) playful (Homo ludens; Huizinga, 1955); (6) a counter-method (philosophical archaeology; Agamben, 2008a); and (7) deliberate, purposeful (the philosophical admonition, “Take your time,” of Wittgenstein, 1980a). The import of this manifesto is conveyed through
key insights about the nature of thought. We need a philosophy of Slow Thought to ease thinking into a more playful and porous dialogue about what it means to live. We must imagine the course of life differently than through speed or milestones. Slow Thought appeals to reflection before conviction, clarity before a call to action. True philosophers open possibilities of thought and life, anti-philosophers close possibilities.
Keywords: Slow Thought; dialogic; porosity; playful; deliberate

Riassunto

Questo saggio filosofico introduce il Pensiero Lento come parte del Movimento Slow (Honoré, 2004) che ha avuto inizio in Italia nel 1986 con la protesta di Slow Food (Petrini & Padovani, 2017). L’autore, psicologo, psichiatra e filosofo, propone sette pilastri di un Manifesto del pensiero lento. Il Pensiero Lento è: (1) peripatetico, dialogico e faccia a faccia (che riflette il lavoro di Socrate; Bachtin, 1983; e Lévinas, 2000); (2) il proprio tempo e luogo; (3) sui generis, non orientato altrove (il vivere vitam di Agamben); (4) poroso, aperto (Benjamin & Lacis, 2007); (5) giocoso (Homo ludens; Huizinga, 1955); (6) un contro-metodo (archeologia filosofica; Agamben, 2008a); e (7) deliberato, propositivo (l’ammonimento filosofico, “Prenditi il tuo tempo”, di Wittgenstein, 1980a). L’importanza di questo manifesto è trasmessa attraverso intuizioni chiave sulla natura del pensiero. Abbiamo bisogno di una filosofia di Pensiero Lento per facilitare il pensiero in un dialogo più giocoso e poroso su cosa significa vivere. Dobbiamo immaginare il corso della vita in modo diverso rispetto alla velocità o alle pietre miliari. Il Pensiero Lento fa appello alla riflessione prima della convinzione, alla chiarezza prima di una chiamata all’azione. I veri filosofi aprono possibilità di pensiero e di vita, gli anti-filosofi chiudono possibilità.
Parole chiave: Pensiero Lento; dialogico; porosità; giocoso; deliberato

Abbiamo bisogno di una filosofia di Pensiero Lento per facilitare il pensieroin un dialogo più giocoso e poroso su cosa significa vivere

Nel 1986 venne aperto un ristorante McDonald’s ai piedi della scalinata in Piazza di Spagna, la piazza più famosa di Roma. L’invasione del fast food americano a buon mercato nel cuore di Roma ha fatto scalpore. Tra chi ha protestato, c’era Carlo Petrini, un giornalista italiano di sinistra, che ha avviato un movimento chiamato Slow Food (Petrini & Padovani, 2017). Petrini ha enfatizzato i prodotti coltivati localmente, la biodiversità e, soprattutto, il godimento dell’autentico gusto italiano.
Alla fine degli anni ’90, l’idea si è trasformata in Cittàslow, o Slow Cities, parte di meme culturale più ampio chiamato Slow Movement (Honoré, 2004). Il filosofo norvegese Guttorm Fløistad ha colto il ritmo del movimento lento quando ha scritto:

L’unica cosa certa è che tutto cambia. Il tasso di cambiamento aumenta. Se vuoi resistere, è meglio che acceleri. Che è il messaggio odierno. Potrebbe però essere utile ricordare a tutti che i nostri bisogni primari non cambiano mai. La necessità di essere visti e apprezzati! È il bisogno di appartenere. Il bisogno di vicinanza e cura e di un po’ di amore! Questo è dato solo attraverso la lentezza nei rapporti umani. Per padroneggiare i cambiamenti, dobbiamo recuperare la lentezza, la riflessione e lo stare insieme. Lì troveremo un vero rinnovamento.


Nel sostenere la “lentezza nelle relazioni umane”, il Movimento Slow appare conservatore, nel chiedere in modo costruttivo di valorizzare le culture locali, sia nel cibo e nell’agricoltura, sia nel preservare ritmi più lenti e biologici contro il ritmo sempre più veloce, digitale e meccanicamente misurato della società tecnocratica che Neil Postman (1992) chiamò tecnopolio, dove “il tasso di cambiamento aumenta” e la tecnologia regna. Tuttavia, è preservativo piuttosto che conservatore,
agendo come un ostacolo contro le multinazionali predatorie nell’industria
alimentare che minano gli artigiani locali della cultura, dall’agricoltura
all’architettura. Nella sua fedeltà ai nostri bisogni primari, soprattutto “il bisogno di appartenere” a livello locale, il Movimento Slow fonda una sorta di comune contemporanea in ogni località – un convivium – che risponde al suo proprio tempoe luogo, mentre si diffonde organicamente man mano che le comunità affermano i loro bisogni specifici di appartenenza e continuità contro l’assalto della burocrazia governativa senza volto e degli interessi multinazionali.

Nella tradizione del Movimento Slow, io qui dichiaro il mio manifesto per un Pensiero Lento. Questo è il primo passo verso una psichiatria dell’evento, basata sulla nozione centrale dell’evento del filosofo francese Alain Badiou, una nuova base per l’ontologia – come pensiamo di essere o di esistere (Badiou & Tarby, 2013). Un evento è una rottura imprevedibile nei nostri mondi quotidiani che apre nuove possibilità. Le tre condizioni per un evento sono: che qualcosa ci accada (per puro caso, nessun destino, nessun determinismo), che diamo un nome a ciò che accade e che rimaniamo fedeli ad esso. Nella filosofia di Badiou, diventiamo soggetti attraverso l’evento. Denominandolo e mantenendo la fedeltà all’evento, il soggetto emerge come soggetto alla sua verità. L'”Esserci” (Dasein nel tedesco di Heidegger) come vorrebbe la fenomenologia tradizionale, non è sufficiente. La mia proposta di “psichiatria eventale” descriverà sia come rimaniamo bloccati nei nostri mondi quotidiani, sia cosa ci rende possibili il cambiamento e le cose nuove (Di Nicola,2017a, 2017b).

Dopo aver lavorato metodicamente sul significato dell’evento, voglio chiarire e illuminare Slow Thought attraverso sette proclami:

  1. Il Pensiero Lento è caratterizzato dalle passeggiate socratiche peripatetiche, dall’incontro faccia a faccia di Lévinas e dalle conversazioni dialogiche di Bachtin
    Questi tre filosofi condividono un approccio metodico, deliberato, anzi quasi faticoso al lavoro sugli enigmi filosofici. Socrate trascorreva il suo tempo passeggiando per le pubbliche piazze dell’antica Atene, coinvolgendo le persone in conversazioni improvvisate con domande disarmanti. Più vicino ai nostri tempi, Emmanuel Lévinas (2000), un ebreo lituano sopravvissuto all’Olocausto in Francia, ha insistito sul fatto che essere umani è un incontro faccia a faccia, dove l’etica di come ci trattiamo a vicenda viene prima e vince su tutto il resto. Il pensatore russo Michail Bachtin (1983) ha analizzato la letteratura come incontri dialogici o relazionali, anche in soliloqui o monologhi interni dove c’è sempre un altro implicito che ascolta e pone domande. Tutti e tre i filosofi condividono il pensiero come attività relazionale – rallentato attraverso il passeggiare per la pubblica piazza e in un dialogo faccia a faccia.
  2. Il Pensiero Lento crea il proprio tempo e luogo
    Il Pensiero Lento esiste oltre i confini geopolitici (“pensare senza confini” per parafrasare un altro movimento) e resiste al tempestivo – definito come “contemporaneo” o “moderno” (Agamben, 2008b). Rifiutando i vincoli di tempo degli interventi multimediali di 30 secondi e il ciclo di notizie di 24 ore, Slow Thought è asincronico. Ciò significa che non è sequenziale nel tempo, ma strutturato secondo la logica lenta del pensiero. Nell’esegesi talmudica ebraica o nell’interpretazione dei testi sacri, pilpul descrive un metodo di dialogo con domande e risposte in cui una risposta a una domanda etica formulata più tardi e altrove nella Spagna dei Mori e degli ebrei sefarditi potrebbe apparire nell’antica Babilonia. Pilpul è dialogicamente strutturato dai canoni del dibattito filosofico piuttosto che dalla cronologia storica o ai movimenti volatili del volgare e del vernacolare. Questa idea è confermata in una storia che ho raccontato in Letters to a Young Therapist (Di Nicola, 2011) sul mio mentore alla facoltà di medicina, Joel Elkes, che ha incontrato il suo mentore di filosofia proveniente dalla Lituania circa 40 anni dopo a Gerusalemme. Alzando gli occhi per un attimo dalla lettura, lo studioso
    salutò il suo ex allievo dopo l’Olocausto, la fondazione di Israele e molte guerre: “Oh, Joel, sto leggendo Platone, vorresti unirti a me?” (Di Nicola, 2011, p. 38). Come pilpul e il dialogo relazionale, Il Pensiero Lento ha una vita propria. Dobbiamo immaginare il corso della vita in modo diverso rispetto alla velocità o alle pietre miliari
  3. Il Pensiero Lento non ha altro oggetto che se stesso
    Slow Thought imita una visione della vita che rischiamo di perdere nella corsa precipitosa verso un futuro evanescente da un presente insicuro ed impraticabile, la cui caratteristica principale è la velocità. Il pensiero, come la vita, non è mai completo, è una possibilità che non si esaurisce mai, come scriveva Giorgio Agamben nel 1996 in un saggio sulla filosofia dell’infanzia:
    I latini avevano una singolare espressione, vivere vitam, che è stata trasmessa alle moderne lingue romanze come vivre sa vie, vivere la propria vita. Qui va ripristinata tutta la forza transitiva del verbo “vivere”; una forza, tuttavia, che non assume un oggetto (questo è il paradosso!), ma, per così dire, non ha altro oggetto che la vita stessa. La vita qui è una possibilità, una potenzialità che non si esaurisce mai in fatti ed eventi biografici, poiché non ha altro oggetto che se stessa. È un’immanenza assoluta che tuttavia si muove e vive.
    Non è casuale che Agamben abbia elaborato il concetto di vivere la propria vita in un saggio sull’infanzia, poiché questo è fondamentale nella nostra visione dei bambini e sfida quello che chiamo pensiero evolutivo. Dobbiamo sfidare il concetto di sviluppo in tutte le fasi della vita e immaginare il corso della vita in modo diverso dal pensiero veloce o dalle pietre miliari.

    Come lettore di Michel Foucault, Agamben ci offre la vita riflessiva come cura del sé,un tema che ossessiona ironicamente gli ultimi scritti di Foucault mentre affrontava la propria morte a causa dell’AIDS. Vivere vitam, vivere la propria vita, risuona profondamente con l’autobiografia Vivir para contarla di Gabriel García Márquez (2002), tradotta in Italiano come Vivere per raccontarla (2004). García Márquez scriveva anche mentre viveva con una malattia potenzialmente fatale. È vero, nel
    suo titolo, vivere ha una forza transitiva incarnata nell’obiettivo della scrittura, ma la scrittura è il modo di vivere una vita di García Márquez, la sua pratica focale, che potremmo dire è il suo modo di pensare. Nel 2009, in risposta alle affermazioni che avrebbe smesso di scrivere, ha replicato: “Non solo non è vero, ma l’unica cosa che faccio è scrivere” (Flood, 2009). Il Pensiero Lento, come il latino vivere vitam, non ha
    oggetto ma, come la vita stessa, si incarna in pratiche focali che ci permettono di vivere più pienamente in un presente atemporale, liberato dal peso di un passato imperfetto o dalla futile promessa di un futuro redentore.
  4. Il Pensiero Lento è poroso
    Nel suo memorabile saggio su Napoli, scritto nel 1925 con Asja Lacis, Walter Benjamin descrisse la città come porosa:
    Viene evitato il timbro del definitivo. Nessuna situazione sembra destinata per sempre, nessuna figura afferma il suo “così e non altrimenti”. […] Si può a malapena distinguere dove la costruzione è ancora in corso e dove è già iniziata la sua rovina. Perché nulla è concluso. La porosità deriva […] dalla passione per l’improvvisazione, che esige che lo spazio e l’opportunità siano preservati a qualsiasi prezzo (Benjamin & Lacis, 2007, p. 166, enfasi aggiunta).
    Se immaginiamo la cultura di Napoli come un apparatus (nel senso di Foucault di uno strumento per strutturare la società), la “porosità” di Benjamin è il suo dare nome a quell’apparatus, per il modo in cui lo osserva e per il principio organizzatore che lega le sue osservazioni ad un atto comunicativo (il saggio su Napoli / porosità):
    “La porosità è la legge inesauribile della vita di questa città, che riappare ovunque.
    Un granello di domenica è nascosto in ogni giorno della settimana, e quanti giorni feriali in questa domenica!” (Benjamin & Lacis, 2007, p. 168).
    Il Pensiero Lento è un modo di pensare poroso, non categorico, aperto alla contingenza, che consente alle persone di adattarsi spontaneamente alle esigenze e alle vicissitudini della vita. Gli italiani hanno un nome per questo: arrangiarsi – più che “aggiustare” o “cavarsela”, è l’arte dell’improvvisazione, un modo di usare le risorse a disposizione per forgiare soluzioni. La porosità del Pensiero Lento apre la strada a potenziali risposte alle difficoltà umane
  5. Il Pensiero Lento è giocoso
    Ciò significa, soprattutto, che le regole possono essere infrante con una seriariflessione. Slow Thought butta fuori il regolamento, poiché Erasmus, citato da Johan Huizinga nel suo magistrale studio Homo Ludens (1955), disse:
    A mio parere, non è assolutamente necessario agire nelle Scuole come agite giocando a carte o ai dadi, dove ogni infrazione alle regole rovina il gioco. In una discussione istruttiva, tuttavia, non dovrebbe esserci nulla di oltraggioso o rischioso nel proporre un’idea nuova.
    Ciò riecheggia perfettamente la filosofia di Badiou dell’evento che spiega la novazione: l’ingresso di cose nuove nel mondo. Nel suo Secondo Manifesto per la filosofia, Badiou (2011) afferma categoricamente che: “La filosofia non è niente se non avventata”. Nella sua giocosa incoscienza, Slow Thought non è vincolato. Né il tempo né la tradizione possono racchiuderlo. Il “gioco” o la tolleranza del Pensiero Lento significa non solo che le regole verranno infrante ma che è possibile una
    rottura del pensiero. Questa rottura è un rifiuto di accettare ciò che Milan Kundera nel suo saggio (1988, p. 142) chiama “il non pensiero delle idee ricevute”.
    Huizinga chiama il gioco “un intermezzo, un interludio nella nostra vita quotidiana” (Huizinga, 1955, p. 9) in un bel gioco di parole, vedendo il gioco come l’attività tra gli atti di una commedia o di un’opera, “distinto dalla vita ordinaria” (Ibid., p. 9), “uscendo dalla realtà comune in un ordine superiore” (Ibid, p. 13).
    Il gioco crea discontinuità nelle nostre vite. Essendo giocoso, Slow Thought non si oppone alla serietà ma crea il proprio senso. Come il gioco dei bambini, Slow Thought è volontario, non ha alcun compito e può essere differito o sospeso in qualsiasi momento. Il gioco crea il proprio tempo, regole e senso dell’ordine, servendo da modello per il Pensiero Lento. E come il gioco, il Pensiero Lento è collegato alla follia, ma non è sciocco. Il gioco, nello studio di Huizinga, non ha alcuna funzione biologica o morale – non è né una necessità fisica né un dovere
    morale. Nessun interesse materiale matura dal gioco e “non si può ottenere alcun profitto” (Huizinga, 1995, p. 13).

    Il pensiero lento fa appello alla riflessione, prima della convinzione,
    alla chiarezza, prima di una chiamata all’azione
    proprio come il gioco aiuta un bambino a costruire un senso di sé (Winnicott, 1971), crea la propria comunità, appartata dal mondo comune, con travestimenti o altri mezzi, secondo Huizinga. C’è qualcosa di mascherato, travestito e nemmenoevidente né ovvio nel gioco. Tuttavia, ancora una volta, pur non essendo serio ologico, il gioco crea le proprie regole, il proprio ordine e la sua logica. Slow Thought mira a cogliere, smascherare e decodificare le regole (Strauss, 1952), l’ordine e lalogica del gioco (Huizinga, 1955, p. 156).
    C’è una “somiglianza familiare” (Wittgenstein, 1953, §67, p. 32) tra Pensiero Lento e altri gesti nella storia del pensiero. Tristram Shandy (1759-67) di Laurence Sterne racconta la sua storia con molte divagazioni e distrazioni deliberate, sempre con uno scopo satirico. In un celebre sonetto, il poeta del XVII secolo John Milton affermava:
    “Serve anche chi sta solo ad aspettare”. Nel 1913, Edmund Husserl ha construtto l’epoca fenomenolologica – una parentesi di esperienza, una sospensione del giudizio. Lévinas si riferisce alla stanchezza e alla fatica come resistere all’esistenza e alla dilatazione come “un’impossibilità di iniziare o … la realizzazione dell’inizio” (Llewelyn, 1995, p. 32). Agamben, il filosofo dell’indistinzione e dell’indifferenza, ama la laconica risposta di Bartleby lo scrivano nel racconto di Herman Melville:
    Preferirei di no“. Jacques Lacan parla di la lettre en souffrance, “la lettera in attesa”, nel suo seminario su “La lettera rubata” di Edgar Allan Poe (1844) – una lettera che arriva a destinazione come un evento, nonostante il suo spostamento. Jacques Derrida decostruisce il rinvio e il ritardo, al punto che, lungi dall’arrivare a destinazione, non riesce mai del tutto a intraprendere il viaggio perché i punti di partenza sono tanti. Slow Thought invoca la parola resistenza, non come difesa psicoanalitica, ma come sospensione e differimento.
    Dalla digressione e l’indifferenza, attraverso il mettere tra parentesi e la
    sospensione, il differimento e il ritardo, l’esitazione e la stanchezza, fino allo spostamento e alla sospensione, Slow Thought ha visto molte iterazioni del suo definirsi scherzo. Tutto ciò ha in comune l’indugiare, indugiare, aspettare e un appello alla riflessione prima della convinzione, alla chiarezza prima di una chiamata all’azione.
  6. Il Pensiero Lento è un contro-metodo, piuttosto che un metodo, per pensarementre rilassa, rilascia e libera il pensiero dai suoi vincoli e dal trauma della tradizione
    Un editoriale su The Irish Times nel 2014 che esortava l’Irlanda a introdurre la filosofia nelle scuole secondarie si opponeva ai “tentativi di rimuovere il tempo per la riflessione”, perfettamente riassunti dagli “slogan della nostra era tecnoconsumista” – Fallo e basta, muoviti velocemente e fermati cose, YOLO (You Only Live Once) – che ci incoraggiano ad “agire ora, pensare dopo”. Contro una “società dei consumatori [che] cerca costantemente di togliere tempo alla riflessione”, la filosofia è raccomandata come “contrappeso a questa cultura dell’azione rapida”.
    Il problema con l'”azione rapida” è che presume un modo sicuro di fare le cose e un’uniformità che, in un pizzico, possiamo accelerare. Così come il fast food funziona per alcuni pasti e non per altri, dobbiamo rimanere aperti a cose che richiedono tempo, sia per preservare ciò che è di valore dal passato, sia per trovare il tempo per forgiare nuovi approcci nel presente. La chiave qui è molteplicità, pluralità e diversità, che richiedono tempo.
    Secondo Ludwig Wittgenstein (1953, §133, p. 51): “Non esiste un metodo filosofico,sebbene esistano effettivamente metodi, come diverse terapie”. Il filosofo più famoso e radicale del XX secolo non ha stabilito un sistema filosofico perché desiderava curare se stesso – e noi – dalla filosofia. Il riferimento alla terapia è importante poiché Wittgenstein ha paragonato il lavoro della filosofia a quello della medicina o della psicologia: “Il trattamento di una questione da parte del filosofo è come il trattamento di una malattia” (Wittgenstein, 1953, §255, p. 91).
    Quando dico che il Pensiero Lento è un contro-metodo, lo allineo al pensiero di Wittgenstein, pubblicato postumo in Remarks on the Philosophy of Psychology(1980b, p. 26), dove conclude:
    Quello che scopriamo in filosofia è banale; non ci insegna fatti nuovi, solo lascienza lo fa. Ma la sinossi corretta di queste banalità è enormemente difficile e ha un’importanza immensa. La filosofia è infatti la sinossi delle banalità.
    Mettiamolo in una prospettiva filosofica più ampia. Nell’opera di Badiou e RichardRorty possiamo distinguere due tipi di filosofi. Rorty (1979) li chiama filosofi sistematici e filosofi edificanti, mentre Badiou (2009) li chiama filosofi e anti-filosofi.

    I veri filosofi aprono possibilità di pensiero e di vita.
    Gli anti-filosofi chiudono le possibilità

    I filosofi sistematici (secondo Rorty) e veri filosofi (secondo Badiou) edificano sistemi di pensiero, spesso costruendo i propri materiali (metodi) per l’edificio filosofico.
    Pensatori come Platone e Aristotele, Agostino e d’Aquino, Giambattista Vico e Giordano Bruno, Thomas Hobbes e John Locke, René Descartes e Baruch Spinoza, Immanuel Kant e Husserl – sono tutti filosofi sistematici. Altri affrontano questioni edificanti (Rorty) o lavorano per minare i sistemi di pensiero consolidati (gli antifilosofi di Badiou). Rorty si riferisce a questi pensatori come “terapeutici piuttosto che costruttivi”. Gli anti-filosofi di Badiou includono Paolo di Tarso, Friedrich Nietzsche, Sigmund Freud e il suo seguace Lacan, e Wittgenstein.
    Seguendo le mie indagini filosofiche sul trauma e sull’evento, discerno filosofi sistematici e veri come filosofi dell’evento, che aprono possibilità – del pensiero e della vita (Di Nicola, 2012, 2018b). Gli anti-filosofi sono i filosofi del trauma e dell’abisso, chiudendo possibilità. Quello che hanno in comune è la rottura intesa come cesura, discontinuità o iato. Quando la rottura diventa trauma / abisso, non è necessariamente un trauma clinico come concepito in psichiatria e psicoanalisi ma il trauma degli studi culturali che, fedele al modo in cui è inteso nella tradizione antifilosofica, non è né sistematico né costruttivo ma decostruttivo e, a differenza del trauma clinico, non necessita di alcun tipo di intervento.
    C’è un altro gruppo di pensatori che chiamo metodologi. Questi sono pensatori che ci offrono nuovi strumenti di pensiero. Non si adattano facilmente alle categorie dicotomiche di filosofia / anti-filosofia o filosofi sistematici / edificanti. Penso ad aspetti di Nietzsche, come la sua genealogia, come una metodologia. Mentre Badiou vede Wittgenstein come un anti-filosofo, è chiaro che Wittgenstein si considerava il grande metodologo che evitava un sistema filosofico e, chiarendo i giochi linguistici, ripuliva alcuni pseudo-problemi filosofici. Da questo punto di vista, Derrida è anche visto meglio come un metodologo che offre una serie di straordinarie intuizioni sulla lingua, la cultura e il pensiero con nozioni come il pharmakon, la disseminazione e l’iterazione. Foucault e il suo più grande lettore, Agamben, sono metodologi.
    Foucault offre una serie di metodologie: genealogia, archeologia e
    problematicizzazione. Agamben (2008a) ha affinato l’archeologia di Foucault, la cui genealogia fa risalire a Nietzsche e Freud, in una metodologia raffinata che chiama archeologia filosofica. Foucault offre inoltre le sue nozioni di dispositivo o apparatus, così come la sua nozione di “cura del sé” come metodologie di indagine, pensiero e pratica (Gutting, 2005).
    Il Pensiero Lento è un contro-metodo analogo all’anti-filosofia. Proprio come ci sono filosofi e anti-filosofi, ci sono metodi e contro-metodi. In questo senso, possiamo raggruppare il Pensiero Lento come una filosofia edificante e come un’anti-filosofia, il modo in cui Nietzsche, Wittgenstein e Derrida esaminano gli strumenti e i metodi del pensiero per chiarire le genealogie (Nietzsche), per liberarci dagli pseudo problemi (Wittgenstein), e per rivelare radici latenti, sconosciute e rinnegate e
    significati e tracce delle parole (Derrida).
  7. Il Pensiero Lento è intenzionale
    In una meravigliosa lezione filosofica strutturata come uno scherzo, Wittgenstein (1980a, p. 80) ha ammonito i filosofi sull’affrettare il loro pensiero:
    Domanda: “In che modo un filosofo si rivolge a un altro? “
    Risposta: “Prenditi il tuo tempo”.

    Questa era anche la lamentela fondamentale di Socrate contro i sofisti dalla lingua d’argento. Mentre i Sofisti istruivano gli Ateniesi in retorica per difendersi efficacemente, Socrate parlava lentamente e deliberatamente, anche con esitazione, e non era in grado di difendersi – in breve termine – dalle accuse di corruzione della gioventù di Atene. La storia ha espresso il proprio giudizio su queste accuse.

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