Dieci anni fa la proposta di trattare i fenomeni culturali come sistemi di significato che pongono problemi interpretativi era molto più inquietante di quanto lo sia oggi per gli scienziati sociali allergici come essi tendono ad essere a qualsiai cosa letteraria o inesatta.
La fisica sociale basata sulle leggi e sulle cause non produce quei trionfi di prevedibilità, controllo e verificabilità attesi.
Lo studio della società sta certamente diventando più pluralistico. Sebbene siano ancora tra noi quelli che ritengono ci sia un’idea fondamentale, gli appelli per una “teoria generale” di qualsiasi fatto sociale suonano sempre più vuoti.
Invischiato in alcune delle novità più dirompenti del ventesimo secolo, lo studio delle società sembra stia diventando seriamente disordinato.
L’antropologo culturale, anche negli approcci più universalistici -evoluzionista, diffusionista, funzionalista e, più di recente, strutturalista e sociobiologico-ha sempre avuto un acuto senso della dipendenza di ciò che è analizzato dal punto di vista da cui é analizzato e dagli strumenti con i quali é analizzato. Per un etnologo le forme della conoscenza sono sempre ineluttabilmente locali, inseparabili dai loro strumenti e dai loro contenitori.
Geertz si propone di riflettere su diversi aspetti che caratterizzano il nostro essere sociali in un tentativo di comprendere come noi interpretiamo le interpretazioni che non sono nostre, il pensiero dell’altro
GENERI CONFUSI. LA RAPPRESENTAZIONE ALLEGORICA DEL PENSIERO SOCIALE
Penso che vi siano molte cose vere:
1) una è che vi sia stato un gran mescolamento di generi e di stili nella vita intellettuale di questi ultimi anni, e che questa confusione continui imperterrita.
2) un’altra è che molti scienziati sociali hanno abbandonato un’ideale esplicativo fatto di leggi ed esempi, cercando meno ciò che collega i pianeti ai pendoli e più ciò che collega i crisantemi alle spade;
3) un’altra ancora è che le analogie tratte dalle discipline letterarie stanno per giocare nella teoria sociologica il ruolo che la tecnologia e la maestria artigianale hanno a lungo giocato in quella fisica.
Qualcosa sta succedendo al modo in cui noi pensiamo di pensare. Non è che non abbiamo più convenzioni interpretative: ne abbiamo più che mai -spesso costruite con materiale scadente- per far posto a una situazione allo stesso tempo fluida, pluralista, monocentrica e innegabilmente disordinata. Per quanto riguarda le scienze sociali ciò significa che la mancanza spesso lamentata di carattere non le mette da parte. Senza più il problema di dover diventare tassonomicamente forti, dato che nessun altro lo è, gli individui che si considerano scienziati sociali (o comportamentisti o culturali) sono diventati liberi di strutturare le loro opere secondo le loro necessità intrinseche piuttosto che secondo idee ricevute su quello che dovrebbero o non dovrebbero fare.
Nelle scienze sociali o almeno in quelle che hanno abbandonato una concezione riduzionista di quello che è il loro oggetto, le analogie derivano sempre più dalla dalla capacità inventiva della rappresentazione culturale che da quella della manipolazione fisica- dal teatro, la pittura, la grammatica, la letteratura, il diritto, il gioco. Cambiano gli strumenti del ragionamento e la società è sempre meno rappresentata come un meccanismo elaborato o come un quasi-organismo e sempre più come un gioco serio, una rappresentazione teatrale o un testo comportamentista.
Il gioco analogia è sempre più popolare nella teoria sociale contemporanea e necessita sempre più di un esame critico. L’impulso a vedere una sorta o un’altra di comportamento sociale come un tipo o un altro di gioco deriva da svariate fonti (senza escludere, forse, l’importanza dello sport come spettacolo nella società di massa). Ma le più importanti sono la concezione di Wittgenstein delle forme di vita come giochi verbali, la visione ludica della cultura di Huizinga e le nuove strategie della Teoria dei giochi e del comportamento economico di von Neumann e Morgenstern. Da Wittgwnstein è venuta la nozione di azione intenzionale come “seguire la regola”; da Huzinga quella del gioco come forma paradigmatica della vita collettiva; da von Neumann e da Morgenstern quella di comportamento sociale come operare reciproco allo scopo di ottenere un vantaggio distributivo. Prese insieme esse conducono nelle scienze sociali ad uno stile interpretativo nervoso e che rende nervosi, che mescola insieme un forte senso di ordine formale delle cose con un senso altrettanto forte di arbitrarietà radicale di quell’ordine: l’inevitabilità della scacchiera che avrebbe potuto essere diversa.
Gli scritti di Goffman si basano quasi interamente sull’analogia del gioco. Applica immagini di gioco competitivo a praticamente tutto ciò che analizza… Ciò che accade in un ospedale psichiatrico o in un ospedale o in prigione o persino in collegio è una partita rituale per avere un’identità dove il personale ha la maggior parte delle carte con le figure e gli assi. La vita é semplicemente un insieme di strategie.
Come la teoria sociale si sposta dalle metafore propulsive (il linguaggio dei pistoni) a quelle ludiche (il linguaggio del tempo libero), le discipline umanistiche si collegano ai suoi temi non come scettici spettatori ma come la fonte del suo immaginario, come complici imputabili. L’analogia drammaturgica della vita sociale è stata presentata per molto tempo in modo casuale
…
1) il problema con le analogie ed è anche il loro pregio è che esse connettono ciò che paragonano in due direzioni (dopo essersi gingillati con gli idiomi teatrali, alcuni scienziati sociali si trovano oggi intrappolati nelle spire piuttosto ingarbugliate della sua estetica)
2)
3)
TROVATO IN TRADUZIONE
L’immagine del passato come fonte di saggezza riparatoria è dannosa perché ci porta a pensare di poter ridurre le nostre incertezze attraverso l’accesso a mondi immaginari costituiti secondo linee alternative alle nostre, quando di fatto in questo modo le nostre incertezze si moltiplicheranno.
Ogni cosa immaginaria che cresce nelle nostre menti viene trasformata socialmente da qualcosa che noi siamo appena consapevoli che esiste e del fatto che è esistita da qualche parte a qualcosa che è propriamente nostra, una forza che opera nella nostra coscienza comune.
L’applicazione di categorie critiche agli eventi sociali e di categorie sociologiche alle strutture simboliche non é qualche forma primitiva di errore filosofico, né è un’altra semplice confusione tra arte e vita. E’ il metodo giusto per uno studio dedicato a chiarire come la gran massa di materiale sulle particolarità culturali e storiche si accorda con la massa ugualmente grande di materiale accessibile di tipo transculturale e transstorico, come ciò che è profondamente differente possa essere profondamente conosciuto senza diventare per questo diverso; come ciò che è enormemente distante possa diventare enormemente vicino senza per questo diventare meno distante.
Perso, sepolto? Un altro pezzo mancante?
Ma niente è perduto. O meglio: tutto è traduzione
E ogni parte di noi è persa in essa
O trovata-Io erro tra le rovine di S.
Ora e allora stupendomi della tranquillità
James Merrill
DAL PUNTO DI VISTA DEI NATIVI SULLA NATURA DELLA COMPRENSIONE ANTROPOLOGICA
Alcuni anni fa Bronislaw Malinowski rese pubblica l’implausibilità del modo di lavorare degli antropologi come è normalmente presentato. Il mito dello studioso sul campo simile al camaleonte, perfettamente in sintonia con l’ambiente esotico che lo circonda, un miracolo vivente di empatia, tatto, pazienza e cosmopolitismo, venne demolito dall’uomo che forse aveva fatto di più per crearlo.
Se, come io penso, dobbiamo rimanere fedeli all’ingiunzione di vedere le cose dal punto di vista dei nativi, come la mettiamo qundo non possiamo più sostenere di avere un’unica forma di vicinanza psicologica, di identificazione transculturale con i nostri soggetti?
Heiz Kohut parla di : concetti vicini all’esperienza : un concetto che chiunque, un paziente, un soggetto, un informatore può utilizzare naturalmente e senza sforzo per definire ciò che lui e i suoi colleghi vedono, sentono, pensano, immaginano…e che comprenderebbe prontamente quando utilizzato in modo simile (paura è più vicina all’esperienza di fobia e di ego asintonico).
Il limitarsi a concetti vicini all’esperienza lascia l’etnologo immerso nelle immediatezze e intrappolato dal linguaggio comune. Il limitarsi a concetti distanti dall’esperienza lo lascia l’etnografo arenato in astrazioni e soffocato dal gergo.
Il problema posto da Malinowski è secondo Geertz:
che nel caso dei nativi non bisogna essere uno di loro per conoscerli, è che tipo di ruoli giocano idue tipi di concetti nell’analisi antropologica.
un’etnografia della stregoneria scritta da una strega o scritta da un geometra??
Cogliere concetti che per altre popolazioni sono vicini all’esperienza e farlo sufficentemente bene da collocarli in connessioni illuminanti con concetti distanti dall’esperienza che i teorici hanno costruito per cogliere le caratteristiche generali della vita sociale, é un compito per lo meno delicato, anche se un pò meno magico del mettersi nella pelle dell’altro. Il trucco sta nel non entrare in una sintonia di spirito troppo forte con il proprio informatore. Questi ultimi preferiscono sentire come tutti noi come propria la loro anima, e non sono affatto inclini verso uno sforzo del genere. Il trucco sta nel capire cosa loro pensano di stare facendo.
L’etnografo non percepisce-e secondo me in buona misura non può percepire- quello che percepiscono i suoi informatori. Ciò che egli percepisce, ed in modo piuttosto incerto, è ciò che essi percepiscono “con”- o “per mezzo di” o “attraverso”, o qualsiasi sia il termine.
Nel mondo dei ciechi, che sono più osservatori di quanto si pensi, l’orbo non è re ma spettatore. La concezione occidentale della persona come un mondo motivazionale e cognitivo armonico, unico, più o meno integrato, un centro dinamico di consapevolezza, emotività, giudizio, e azione organizzato in un insieme distinto ed in contrapposizione ad altri di questi insiemi e al suo retroterra sociale e culturale è, per quanto strano ci possa apparire, un’idea alquanto peculiare nel contesto delle culture mondiali. Piuttosto che cercare di collocare le esperienze degli altri nel contesto di questa concezione, che è il punto di arrivo esaltato dall’empatia, il comprenderle richiede di mettere da parte questa concezione e di vedere le loro esperienze all’interno del quadro concettuale della loro idea di ciò che è il sè.
Resoconti della soggettività di altre persone possono essere costruiti senza ricorrere a pretese di capacità straordinarie di annullare il proprio sé e cose simili. Capacità normali sono ovviamente, in questo rispetto essenziali, come lo è la loro coltivazione, se si vuole che le persone tollerino le nostre intrusioni nelle loro vite e ci accettino come persone con le quali valga la pena parlare.
Non sto certo parlando a favore dell’insensibilità, e spero di non averla dimostrata. Ma qualsiai opinione più o meno accurata ci si formi sui propri informatori essa non deriva dall’esperienza di come si è accettati, che fa parte della propria biografia e non della loro. Essa deriva dall’abilità di tradurre i loro modi di espressione, ciò che vorrei chiamare il loro sistema di simboli, che l’essere accettati dà la possibilità di analizzare. Comprendere la forma e l’intensità della vita umana dei nativi, per usare ancora una volta questa parola pericolosa, è più simile alla comprensione di un proverbio, di un’allusione, di uno scherzo- o, come ho suggerito, alla lettura di una poesia- cioè è come ottenere un senso di comunione.
VERSO UN’ETNOGRAFIA DEL PENSIERO MODERNO
Pensiero ——- processo ——- contenuto
Le scienze sociali nel corso di questo secolo sono passate da
1) anni 20-30: una concezione radicalmente unitaria del pensiero umano, considerato nel nostro primo senso psicologico come avvenimento interiore, accompagnato da un avanzamento non meno costante di una concezione radicalmente pluralistica nel nostro secondo senso culturale come fatto sociale.
1) la mente primitiva
2) il relativismo cognitivo
3) l’incommensurabilità concettuale
Il passaggio al relativismo culturale è stato portato avanti dalle osservazioni di Boas e Malinowski che si sono entrambi sforzati di dimostrare che l’errore stava nel tentativo di interpretare i materiali culturali come se fossero espressioni individuali e non sociali.
Il modello di Rodin-il pensatore solitario che rimugina fatti e insegue fantasticherie- è inadeguato e chiarirle. I miti non sono sogni e la bellezza razionale della dimostrazione matematica non sono in alcun modo garanzia della salute mentale del matematico che l’ha formulata.
Ciò che prima era visto come un problema di confrontabilità di processi psicologici da un popolo all’altro è ora visto ….come un problema di commensurabilità si strutture concettuali, un cambio di formulazione.
LA VITA PRISMATICA E UNICA DELLA MENTE è da considerarsi un paradosso animatore sempre più potente per le scienze sociali.
Siamo tutti indigeni adesso, e chiunque altro non sia uno di noi è un esotico. Quello che un tempo appariva come il problema di scoprire se i selvaggi potevano distinguere la realtà dalla fantasia appare adesso come il problema di scoprire in che modo gli altri, al di là del mare o in fondo al corridoio, organizzano il loro mondo significativo.
CONOSCENZA LOCALE
Haqq (arabo—– islamica) realtà, verità, validità
Sari’a sentiero, strada
fiqh conoscenza, comprensione
Dharma ( sanscrito——indiana) “dovere”, “obbligo”, “merito”
Adat ( arabo———malese e Sud est asiatico) “consenso sociale e stile morale”
Non concetti precisi ma una struttura di idee.
Rischio di reificazione, lo strumento attraverso il quale l’Occidente, per aggiungere un’altra entità alla collezione, è riuscito a evitare di comprenderle o persino di vederle in modo chiaro. La difficoltà sta nel dover affrontare il problema di definire noi stessi senza distanziarci troppo dagli altri come poli antagonisti e senza assimilarli a noi ma collocandoli tra loro.
I tre termini possono essere paragonati alla nozione di diritto (Recht) giusto, idoneo, appropriato, apposito, reale, vero, genuino, corretta comprensione——– molto simile ad haqq regole hukm di condotta
Haqq : una concezione che fa da ancora tra una teoria del dovere, come insieme di pure asserzioni, un certo numero di descrizione di fatti e una visione della realtà per sua essenza stessa imperativa, una struttura non di oggetti ma di volontà. Il morale e l’ontologico si scambiano il posto almeno dal nostro punto di vista.
Haqq è anche uno dei nomi di Dio, così come insieme a cose del tipo “discorso”, “potere”, “vitalità” e “volontà” uno dei suoi eterni attributi.
Haqq si riferisce a ciò che é reale in sé stesso e di per sé stesso. E’ un attributo di Dio per eccellenza. Huwa-al-haqq: Egli è realtà in quanto tale. Tuttavia qualsiasi altra cosa che sia genuina è anch’essa haqq. Significa prima di tutto realtà, é Dio solo per quelli (cioè i Musulmani) che perseverano nell’eguagliarlo alla realtà. E’ verità nel senso di Reale, con o senza la R maiuscola”
Il Corano come il luogo dove si trovano le parole di Dio è considerato cristallino e completo nella sua asserzione di quanto Allah avrebbe permesso di fare e non fare a coloro che lo chiamano al- Haqq.
L’analisi giuridica, sebbene sia un’attività intellettualmente complessa e stimolante, e spesso politicamente rischiosa, è considerata una questione di rendere pubblicamente chiare delle versioni del volere e della verità divina-descrivendo la Sacra Casa quando non la si vede, come ha detto Shafi, forse il più insigne giurista classico- non di equilibrare valori in conflitto. Ed è ciò che porta a quello che secondo me è la caratteristica più sconvolgente dell’amministrazione islamica della giustizia: l’intensa preoccupazione per ciò che può essere definita “la testimonianza normativa”.
Il testimone dev’essere moralmente affidabile (nel X sec esistevano addirittura i testimoni dei testimoni). Tendenzialmente, la forma orale è privilegiata nei processi perché è l’uomo che rende credibile il documento.
Attualmente la vita giuridica è maggiormente centrata su un diritto più o meno positivo che lasciano, però, alle cure del qadi le questioni familiari e di eredità.
Allo stesso modo in cui per noi è stato importante consolidare il principio di equità tramite l’importanza del ruolo dato alla giuria, per i musulmani è stato fondamentale consolidare la figura di qualcuno che rappresentasse una garanzia sull’affidabilità del testimone ( sono delle specie di notai , i “giusti” i “corretti”). Molto spesso hanno un ruolo di mediatori prima del processo.
Mentre il diritto islamico era omogeneo in tutto il territorio tanto da permettere agli uomini dileggi, già dal XIV sec di spostarsi da tribunale in tribunale, il diritto indiano era pieno di tetsi stravaganti di origine diverse (un pò come i testi di Borges). Esso era inoltre diviso dalla grande separazione Induismo-Buddismo.
Così a livello procedurale il diritto era estremamamente caotico, a livello concettuale il diritto si basava ovunque su “un’idea grandiosa straordinariamente originale e straordinariamente stabile, derivata da una rivelazione immediata, l’albero vedico o Bo-tree: una dottrina cosmica del dovere in cui ogni tipo di essere nell’universo, umano, transumano, infraumano, e simili, ha per una virtù intrinseca, un’etica da seguire e una natura da esprimere- e le due coincidono “I serpenti morsicano, i demoni imbrogliano, gli dei donano, i saggi controllano i propri sensi, … i ladri rubano…i sacerdoti sacrificano,…i figli obbediscono alle madri” rubano…i sacerdoti sacrificano,…i figli obbediscono alle madri”